Omelia (12-07-2009) |
Paolo Curtaz |
Una cosa mi ha sempre stupito e, quando non ero credente, scandalizzato: perché Gesù ha coinvolto i suoi discepoli per annunciare il Vangelo, perché ha voluto correre il rischio di rendere poco credibile il suo messaggio attraverso il limite e la povertà dei suoi testimoni? Marco pone delle condizioni all'annuncio, una sintesi per ricordare ai discepoli con quale stile sono chiamati ad annunciare il Regno. I discepoli vengono mandati ad annunciare il Regno a due a due. Non esistono navigatori solitari tra i credenti, tutta la credibilità dell'annuncio si gioca nella sfida del poter costruire comunità. Parlare della comunità in termini astratti è bello e poetico. Vivere nella mia comunità, con quel membro del gruppo, con quel viceparroco, con quel cantore, è un altro affare. Non ci sentiremmo forse più a nostro agio da soli o, al limite, in compagnia di qualcuno a noi affine? Gesù ci tiene alla scommessa della convivenza fatta per amore al Vangelo. Al di sopra delle simpatie e dei caratteri, Gesù ci invita ad andare all'essenziale, a non fermarci alle sensazioni di pelle, a credere che la testimonianza della comunione, nonostante noi, può davvero spalancare i cuori. La Chiesa non è il club dei bravi ragazzi, non ci siamo scelti, Gesù ci ha scelto per avere potere sugli spiriti immondi. La Parola che professiamo e viviamo caccia la mondezza dai cuori, la parte tenebrosa che ci abita. Ecco, ancora una volta, una pagina che stimola e confronta le nostre Chiese particolari... |