Omelia (16-09-2002)
Paolo Curtaz
Commento Matteo 9,18-26

Gesù spesse volte nel Vangelo si stupisce dell'incredulità dei suoi contemporanei; come se Dio restasse addolorato nel vedere la nostra poca fede e la nostra ostinazione, come se non si aspettasse la tiepidezza della nostra reazione, come l'amante che sente poca gioia nell'accogliere il suo dono, come il bambino deluso dalla reazione scostante dei compagni di gioco.
Oggi, invece il Maestro resta ammirato dalla fede di questo centurione pagano che porta rispetto al Rabbì di Nazareth e ragiona con semplicità: io comando e mi obbediscono, tu comanda e il male ti obbedirà. Quante volte persone che si dicono lontane dalle fede sanno invece stupire il Signore con gesti di fiducia schietti e profondi! A noi discepoli di riconoscere i cammini talora tortuosi di coloro che cercano la verità e incontrano il volto del Dio di Gesù, e l'impegno a non lasciare che la nostra fede si sieda, si abitui, si impoltroni. Che davvero il Signore possa, almeno d'ogni tanto, stupirsi anche della nostra generosità, delle nostre scelte, dei nostri gesti di fede, di chi chiede sapendo di parlare ad un Padre che sa di cosa hanno bisogno i propri figli e non ad un despota potente da corrompere e convincere, di chi – come il centurione – sa di non poter pretendere nulla, ma garbatamente chiede un miracolo, non per se, ma per il servo malato. Diventiamo capaci di chiedere per gli altri, di uscire dalla visione privatistica e solitaria della preghiera, lasciamo che il mondo inquieti le nostre piccole intercessioni personali, che diventi nostro il desiderio di Dio di salvare il mondo.
Che oggi il Signore, almeno un poco, si stupisca della nostra semplice fede.

Signore, da tempo seguiamo le tue orme, eppure la nostra fede non è grande come quella del centurione pagano. Rendici forti oggi nel credere, per poter suscitare l'ammirazione di Gesù nostro Maestro e Signore.