Omelia (26-09-2009)
Paolo Curtaz


Chi può chiedere qualcosa al Signore? Chiedergli spiegazioni della sua scelta sconcertante, del suo volere, con durezza, portare a compimento la sua missione anche a costo della propria vita? Cosa ne sappiamo noi, pavidi, fragili, che viviamo una fede di poltrona e pantofole, che misuriamo la bontà di Dio dal successo della nostra vita? Fanno bene gli apostoli, e noi, a tacere: davanti a Gesù sperimentiamo l'inaudita distanza fra le nostre pavide visuali e la sua ardente passione di salvare gli uomini. L'assoluto di Dio svela la nostra mediocrità, la nostra fede fatta solo di applausi e di soddisfazione, mai disposta a mettersi in gioco, mai capace di immaginare che un fallimento può celare una sconcertante e liberatoria scelta d'amore, noi che viviamo una vita mai veramente convertita. Tacciono gli apostoli e avvertiamo quasi plasticamente la solitudine assoluta in cui sprofonda Gesù davanti alla scelta che vuole compiere per salvare l'umanità. Non sono bastate le parole, i miracoli, la coerenza, la misericordia a piegare il cuore dell'uomo. Forse lasciarsi andare fino in fondo, abbandonarsi, donarsi, cambierà qualcosa.