Omelia (25-12-2009)
Paolo Curtaz


Ecco il tuo Dio, Israele, ecco colui che aspettavi. Ecco il tuo Dio, assetato di Dio, inquieto pellegrino della vita che nulla riesce a soddisfare. Ecco il tuo Dio, popolo di nuovi poveri messi ai margini dall'economia, dagli interessi delle grandi potenze. Ecco il tuo Dio, amico lettore.

Ecco Dio, amici: è un neonato con i pugni chiusi e la pelle arrossata, gli occhi che mal sopportano la luce e la piccola bocca che cerca l'acerbo seno della madre. Ecco Dio, amici: è un bambino impotente, fragile, che va lavato e scaldato, cambiato e baciato, e viene tenuto a contatto della pelle ruvida del padre, Giuseppe, che lascia l'emozione inumidirgli gli occhi per poi tornare alla concretezza di una situazione incasinata. Ecco Dio, amici: non dona, chiede, non ha deliri di onnipotenza, ha svestito i panni della regalità, li ha deposti ai piedi della nostra inquieta umanità, non gli angeli, ma una ragazza inesperta e generosa si occupa di lui. Ecco Dio, amici: sconosciuto parto in mezzo alle decine di migliaia di parti di bambini del terzo mondo destinati alla dissenteria e alla morte. Dio è così: prendere o lasciare, accogliere o rifiutare o, peggio, mistificare. Come, troppo spesso, siamo capaci di fare, addolcendo l'amarezza del Natale, la disarmante fragilità di Dio, la sua follia d'amore, per ridurre la Notizia a cronaca, sovrapporre l'antipatico volto del Dio delle nostre piccinerie al luminoso e splendido volto della gloria di Dio, travolgere tutto dall'onda di emozioni (sempre più consumate) scordando la fede.