Omelia (28-12-2009)
Paolo Curtaz


Dopo Stefano, i neonati di Betlemme: la Chiesa non ha paura di togliere la patina di melassa con cui abbiamo rovinato il Natale per riportarci alla drammaticità di un mondo che rifiuta Dio e i suoi prediletti: i bambini.

È tinto di sangue, il Natale che abbiamo riempito di luci soffuse. Quello dei bambini di Betlemme, dai due anni in giù, specifica Matteo, uccisi dal folle Erode per proteggere il bambino Gesù, indicato dai Magi come re d'Israele. Racconto raccapricciante, eppure tanto più credibile, ripercorrendo il profilo storico del tiranno Erode, sanguinario, irruento, che ha fatto uccidere i suoi figli sospettati di tradimento. Certo, forse vi è anche un'allusione all'uccisione dei neonati maschi del popolo ebraico da parte di Faraone, per mettere in parallelo la vita di Gesù con quella di Mosé. Tant'è: l'uccisione dei bambini diventa l'icona, il paradigma di tutti bambini uccisi dai violenti di ieri e di oggi. I bambini sfiniti di dissenteria, che non ricevono alcun vaccino e i sali minerali (spesa pro capite: due dollari a testa, dice l'UNICEF), che sono venduti al mercato del lavoro, ad assemblare per un dollaro al giorno i giocattoli dei nostri figli o, peggio, venduti al mercato del sesso a persone orribili (occidentali!) che pensano di poter comprare l'innocenza col denaro. Per tutti loro, oggi, la Chiesa celebra il martirio dei bambini di Betlemme, per richiamare il nostro scipito Natale all'essenziale.