Omelia (26-10-2003)
don Fulvio Bertellini
Egli libererà il povero che grida...

Figlio di Davide

A noi il termine "figlio di Davide" dice poco. Ma ad un'ebreo del tempo di Gesù diceva molto: indicava, senza possibilità di errore, il Messia, anzi, il Messia re. Evocava una serie di testi in cui si annunciava la restaurazione del regno, la sconfitta delle nazioni nemiche, l'instaurazione di un dominio universale. Il re messianico, re giusto, doveva instaurare la giustizia, soprattutto nei confronti dei più deboli e dei più poveri, Nel Vangelo di Marco l'espressione "figlio di Davide" ricorre soltanto nell'ultima sezione, nel brano della guarigione del cieco di Gerico, nell'ingresso trionfale a Gerusalemme, in una discussione con gli scribi. Non sono molti testi, ma per un Vangelo sobrio ed essenziale come quello di Marco sono già sufficienti per delineare una precisa linea interpretativa; inoltre sono concentrati in un momento preciso del suo percorso narrativo: l'arrivo a Gerusalemme, dove la vicenda di Gesù va verso la crisi e il compimento finale.

Il cieco mendicante

Bartimeo evoca per noi pietà e compassione. Un cieco mendicante, nella nostra società, è degno di rispetto, non deve essere emarginato, anche se la tendenza a rimuovere l'immagine della malattia e della fragilità umana è sempre presente. Nella società antica questa tendenza prevale. Il povero, il mendicante, non ha diritti, è visto con fastidio, non ha considerazione. E' ai margini della società, e nessuno se ne cura. Unica concessione, il diritto a chiedere l'elemosina, e il dovere religioso di farla. Nulla di più, però. Comprendiamo allora il fastidio di molti per il grido disperato di Bartimeo. Per costoro Gesù non deve occuparsi di simili rifiuti umani, ciò che ci si aspetta da lui è probabilmente un ruolo politico-religioso ben differente.

L'interesse di Gesù

Tuttavia notiamo che Bartimeo è il primo che, nel Vangelo di Marco, riconosce Gesù come figlio di Davide. Forse anche questo dà fastidio: si tratta di un'affermazione che ha qualcosa di scandaloso. Gesù è troppo diverso dal re-messia tanto atteso. Non ha eserciti, non ha denaro, non appare come uno dei notabili che contano. Solo Bartimeo lo riconosce e lo invoca come Figlio di Davide, e la sua richiesta insistente indica che si tratta di una convinzione radicata, non una intuizione passeggera. Da qui Gesù riconosce la sua fede, e lo manda a chiamare.
Implicitamente Gesù riconosce di essere il Figlio di Davide, il Messia atteso, ma tra tutte le attese che lo riguardavano porta a compimento la meno grandiosa e, agli occhi della folla, la meno significativa: si prende cura del cieco, del mendicante, rende giustizia al povero. Quello che noi vediamo come un grande miracolo non era così stupefacente per una folla che si aspettava una restaurazione gloriosa dell'impero davidico. E' un segno che pone interrogativi, che deve essere decifrato, che non si lascia manipolare. Non è il miracolo a gettone, fatto per compiacere le masse. E' un miracolo che richiede fede, e che vuole suscitare la fede.

La tua fede ti ha salvato

La parola di Gesù sottolinea l'importanza della fede di Bartimeo, e mostra che tipo di regalità e di regno egli viene ad instaurare. La guarigione non è una graziosa concessione dall'alto, che instaura un rapporto di tipo clientelare. Non è uno strumento per consolidare un potere oppressivo, rivestito di un'aura di magnanimità e giustizia. La guarigione coinvolge la totalità della persona, che è invitata a fidarsi di Gesù, e a lasciarsi coinvolgere nel suo Regno. Il cieco è salvato, non soltanto guarito, e diventa discepolo di Gesù. La trasformazione che si compie è molto profonda, anche se dal punto di vista della visibilità umana può essere deludente o problematica. La folla che ha visto il miracolo è invitata essa stessa a credere, a fidarsi, senza poter ricavare vantaggi personali da questo tipo di re-Messia.


Flash sulla I lettura

"Il Signore ha salvato il suo popolo / un resto d'Israele". Solo un "resto" è rimasto, dopo la catastrofe dell'esilio. Di per sé il concetto di "resto" non appare positivo: indica che il popolo è stato infedele, che i suoi capi lo hanno condotto, con la loro insipienza, verso la sciagura, che quello che era stato un popolo fiorente è stato ridotto ai minimi termini. Eppure la parola profetica invita a vedere in questo "resto" la salvezza per tutto il popolo. E' un messaggio paradossale, ma che si avvicina molto alle parabole evangeliche del granello di senape, del lievito e della farina.
"... fra di essi sono il cieco e lo zoppo, la donna incinta e la partoriente...": quelli che tornano e sono il segno che la salvezza sta per cominciare non sono un'èlite religiosa: il cieco e lo zoppo rappresentano i "poveri", mendicanti senza diritti (o anche, se vogliamo darne un'interpretazione metaforica, il popolo in quanto peccatore, cieco nel vedere l'alleanza, zoppo nel camminare secondo la legge); la donna incinta e la partoriente rappresentano la fecondità di questo inizio, che non proviene da una forza umana, ma da Dio stesso

Flash sulla II lettura

"Ogni sommo sacerdote, scelto tra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini": noi fatichiamo forse ad entrare nella mentalità antica, per la quale una funzione essenziale, che non deve mancare nella società, è l'intermediazione con il mondo divino. Per gli Ebrei, come per tutti i popoli antichi, era fondamentale garantire "per il bene degli uomini", un giusto contatto con la divinità, attraverso mediatori appropriati.
"... per offrire doni e sacrifici per i peccati": l'aspetto del perdono dei peccati era divenuto particolarmente importante nell'Israele postesilico: vivendo un rapporto più profondo e personale con Dio, diventa più acuta anche la percezione del peccato, rispetto agli altri popoli. Anche l'esperienza del ritorno dall'esilio e della restaurazione del popolo non è mai sentita come perfettamente compiuta e realizzata: in molti ambienti del tempo di Gesù si avverte l'esigenza di un pieno e definitivo perdono dei peccati, che però non poteva essere realizzato nel culto ufficiale del tempio.
"... deve offrire anche per se stesso sacrifici per i peccati...": l'autore della lettera agli Ebrei rileva a più riprese l'insufficienza dei sacrifici e del sommo sacerdozio di Gerusalemme ai fini di un perfetto ristabilimento delle buone relazioni tra Dio e il popolo.
"... mio figlio sei tu, oggi ti ho generato... tu sei sacerdote per sempre alla maniera di Melchisedek": sono citazioni di salmi, che vengono applicati a Gesù, e illuminano un aspetto della sua redenzione: in quanto "figlio", e "sacerdote" (ma di tipo diverso dai sacerdoti del tempio), Gesù è in grado di realizzare una vera mediazione tra Dio e l'uomo, e una vera riconciliazione.