Omelia (01-11-2010) |
Marco Pedron |
Regole per andare avanti La Chiesa oggi celebra la festa di Tutti i Santi: non solo quelli grandi, conosciuti e famosi, ma anche quelli che nessuno ricorderà se non chi li ha portati nel proprio cuore e che grazie a loro è cresciuto, cambiato, si è trasformato, è stato amato. Ognuno ha i suoi santi e i suoi angeli: tutti noi abbiamo i nostri riferimenti, i nostri punti fermi, le persone che stimiamo e che amiamo, quelle che ci hanno permesso delle scelte decisive o che semplicemente sono stati importanti per noi; alcuni sono vivi, alcuni sono morti, alcuni li abbiamo conosciuti, alcuni forse neppure no. Oggi la chiesa li vorrebbe ricordare tutti e in quel "beati" del vangelo ciascuno di noi può vedere e rivedere, come in uno specchio, i suoi santi. In cosa credeva Gesù? Sì, certo in Dio, ovvio! Ma cosa voleva dire per lui credere in Dio? Quali erano i valori, le motivazioni, cos'era che lo sosteneva nel cuore? Quali erano i capisaldi, i fondamenti della sua vita? Quali erano le regole per cui credeva? Le beatitudini sono la risposta a tutto questo: descrivono come Gesù visse e come Lui intendeva il suo vivere. Quello che faceva lo faceva a partire da qui. Ed era molto coerente Gesù, perché diceva quello che faceva e faceva quello che diceva. Perché un uomo che non è coerente con sé, che dice ma non fa', che uomo è? Un uomo che non ama neppure ciò che per lui è importante, che uomo è? Come gli si può credere, se neppure lui crede in ciò che dice? Le beatitudini sono un programma per vivere veramente appieno, per una vita riuscita e realizzata. A ben pensarci però tutti vorrebbero realizzarsi. Il problema è che la questione è mal posta. Le persone infatti pensano: "Cosa voglio fare? Qual è la mia strada? Dove troverò la felicità?" e si pongono quindi degli obiettivi: per essere felice devo sposarmi... devo avere dei figli... devo finire la scuola... devo avere la casa... devo arrivare qui... arrivare lì, ecc. Ma non funziona così. Non funziona così per vari motivi: 1. Chi dice che quando avrò quella cosa sarò felice? Possono le cose farci felici? E ammettiamo che io raggiunga il mio obiettivo, e poi che faccio? 2. Spesso abbiamo obiettivi che crediamo ci faranno felici, ma che poi cammin facendo non si rivelano tali. E' proprio quello che vogliamo per davvero? Ci siamo ascoltati bene? E poi si sa, nel corso della vita i bisogni, i desideri, cambiano. Quanti hanno pensato che l'amore li avrebbe fatti felici! Ma per amore loro pensavano ad un uomo e ad una donna concreta. E poi? E poi invece hanno sofferto le pene dell'inferno o sono stati tanto insoddisfatti. 3. Chi dice che abbiamo le risorse per arrivarci? Molte persone dicono: "Io voglio quello". "D'accordo, ma hai la forza per raggiungere quello? Hai le capacità reali, le forze, le risorse?". Un giorno con alcuni amici partimmo per andare sul Piz Boe (cima delle Dolomiti). Arrivammo a Colfosco e ci incamminammo. Ma la giornata non era come noi speravamo. Il tempo era brutto, c'era nebbia e non prometteva niente di buono. Ma noi volevamo andare in cima. La motivazione era tanta ma non avevamo fatto i conti con le possibilità reali. Non ci fu verso: divenne freddo, piovve a dirotto e addirittura, nonostante fosse estate, ad un certo punto nevischiò. Non eravamo equipaggiati per una cosa del genere e dovemmo tornare indietro. Forse equipaggiati, avremmo anche potuto continuare, ma noi non lo eravamo. Ci eravamo tutti concentrati sul dove e non sul come. Se da Este dovete andare a Padova, dite: "Voglio andare a Padova". Poi non ci pensate più e vi dite: "Come? In auto? In treno? Faccio l'autostrada? Faccio la statale?". Cioè: pensate al come arrivarci. Se dovete "vestirvi bene" messo l'obiettivo (vestirsi bene), poi decidete come: jeans? Pantaloni eleganti? Camicia? Lupetto? Giacca? Cravatta? ecc... Le persone pensano a realizzarsi, ad essere felici (la meta), ma tralasciano il come arrivarci (la strada). Quando noi analizziamo le beatitudini possiamo analizzare il contenuto ("beati i poveri, quelli che piangono, i misericordiosi, gli operatori di pace"), cioè ciò che Gesù dice. Ma noi possiamo anche analizzare la struttura delle beatitudini: allora al di là che uno abbia il dono del pianto o della misericordia, le beatitudini divengono un testo universale per tutti perché descrivono "il come" vivere. Non è più "il dove" (ciascuno ha il suo) ma "il come" che vale per tutti. Le beatitudini contengono nascoste delle regole valide sempre, per tutti e in ogni momento: è la struttura. Se vuoi essere felice, se vuoi vivere davvero "beato" (che non vuol dire in pace e senza conflitti), vivi così, seguendo queste regole. Non sono regole evidenti perché non sono scritte. Sono le regole che stanno sotto a ciò che è scritto, sono al di fuori della nostra coscienza ma viverle o non viverle determina una vita felice o infelice. Pensate ad un'auto: il contenuto è il tipo di auto, una Opel, una Ford, una Fiat; contenuto è ciò che contiene, tipo le foderine dell'auto, il navigatore, ecc. Il contenuto è ciò che diversifica le auto l'una dall'altra. Struttura è ciò che fa sì che tutte le auto siano uguali. Hanno tutte la stessa struttura: quattro ruote, volante, carrozzeria, portiere, vetri, ecc. Pensate ad un bicchiere: contenuto è il vino, l'acqua, l'aranciata o ciò che c'è dentro. Struttura è il bicchiere: sempre quella, al di là di ciò che c'è dentro. Per questo le beatitudini sono il vangelo della festa di oggi: tutti i Santi hanno vissuto così. Non perché tutti abbiano pianto o siano stati perseguitati o siano stati miti o operatori di pace. Ma perché tutti hanno vissuto secondo le regole nascoste delle beatitudini. 1. Il primo criterio: "Voglio" e non "devo". Quando Gesù annuncia le beatitudini chiaramente parla di Sé. Lui ha vissuto così sempre. Lui è stato misericordioso, Lui è stato un operatore di pace; Lui è stato povero in spirito. Ma chi l'ha costretto a vivere così? C'era una legge che gli chiedeva questo? Il suo Dio? No. Gesù ha vissuto così perché questo lo rendeva davvero felice, pieno, umano, vibrante. Lui ha voluto vivere così. Una vita riuscita dice: "Voglio vivere così; voglio far questo". Voglio=io lo voglio. E' qualcosa di importante per me e io lo accolgo, lo inseguo, che questo è importante per me. Voglio è vivere da protagonisti: prendo in mano la mia auto e la dirigo io. Una vita fallita dice: "Devo; mi tocca; son costretto; bisogna". Devo=qualcuno mi costringe. Quando dico "devo" dico che non mi va bene, ma che me lo faccio andare bene, che lo accetto anche se non mi va. Ma si può vivere così? Devo è vivere da esecutori: qualcuno guida, mi porta dove lui ha deciso e io sono solo un passeggero. Quando ero piccolo il giorno di Natale si andava da parenti. Uno di questi mi piaceva tantissimo: non vedevo l'ora di andarci, volevo andarci. Stavo bene e non volevo che il tempo passasse: ridevo e mi divertivo un sacco. E anche se abitava lontano, facevo molto volentieri il viaggio in auto. L'altro, che abitava vicino a noi, invece, era barboso, noioso e mi era anche antipatico. Ma si sa, si è piccoli e si deve andare. Continuavo a dire ai miei genitori: "Quand'è che andiamo via? Ma stiamo ancora qui? Voglio andare a casa!" e il tempo mi sembrava un'eternità. Quando eravamo alle elementari studiare le tabelline era una barba. Ma un giorno con un mio amico facemmo un gioco: scrivemmo su dei foglietti tutte le tabelline (5x6, 5x7, 5x8...) e poi pescavamo il fogliettino e dovevamo rispondere entro tre secondi. Era diventato un gioco, ci divertivamo tantissimo ed eravamo motivatissimi nell'imparare le tabelline. Non era più un dovere ma un piacere, un volere. Le persone dicono: "Devo fare questo... devo fare quello... devo andare in chiesa... devo conoscermi... devo cambiare... devo essere diverso... devo smettere di arrabbiarmi, di fare il muso, di giudicare... devo perdonare... devo pregare di più...". Non ci può essere piacere nel dover vivere, nel dover fare le cose. Se quello che fai è un dovere non ci può essere piacere. Ma se lo vuoi... Vi ricordate? Quando vostra madre vi diceva: "Sistema la casa! Pulisci il bagno! Sistemati la camera!". Tutto vi sembrava così difficile, così impossibile. Poi un giorno avevate la casa libera e avete invitato la vostra fidanzatina a casa vostra, voi due, da soli. Ma com'era bello pulire la casa e sistemarla e farla lustra! Quando dovevo studiare biologia, mi ricordo che era insopportabile, la odiavo. Ma oggi che voglio studiarla, impararla, conoscere: che meraviglia! Eppure è sempre la stessa cosa, ma io sono diverso. Prima dovevo, adesso lo voglio io. Devo è: "Mi tocca". La vera domanda è: "Ma io lo voglio?". Quando faccio una qualsiasi cosa, mi chiedo: "Ma io lo voglio?". E se non lo voglio perché lo faccio? Per che cosa voglio vivere? Quali valori voglio inseguire e vivere? Cosa voglio da me? Cosa voglio per la mia vita? Cosa desidero dagli altri? Cosa mi impedisce di raggiungere ciò che voglio? Ci sono delle persone che vivono per piacere agli altri: devono fare questo, quell'altro, mostrarsi così, non mostrarsi colà, devono essere bravi, irreprensibili, a modo, educati, contenuti, mai esagerati: ma come ci può essere felicità in una vita così? E come si può realizzarsi se mai si segue quello che si vuole? Se non si da spazio a ciò che si è, a ciò che si desidera, a ciò che sepolto nel nostro cuore? Gesù dice: "Io voglio vivere così e nient'altro che così". E così infatti vivrà sempre, per questo era tremendamente felice, "nessuno me lo comanda e nessuno me lo ordina, l'ho scelto io e lo voglio io". La differenza tra il volere e il dovere è la felicità e la realizzazione. 2. Il secondo criterio delle beatitudini è il presente, "adesso, oggi". Gli esegeti credono che Gesù abbia detto forse una sola beatitudine, la prima. Le altre sarebbero una lettura e una interpretazione successiva delle prime comunità cristiane (non a caso in Lc le beatitudini sono solo quattro e anche un po' diverse). In ogni caso la prima racchiude le altre. La prima beatitudine è chiara: "Beati i poveri in spirito perché di questi è il regno dei cieli". Il verbo "è" è al presente. La felicità è vivere adesso, nel presente. Il regno dei cieli non è il premio dopo la morte: è adesso. Perché se non è adesso, allora non è mai. Perché se la felicità non può essere vissuta adesso allora diventa una consolazione per chi non ce l'ha. Gesù ripeteva in continuazione: "Il regno dei cieli è qui, adesso, dentro di voi" (17,21) Spesso siamo in avanti o siamo indietro. Difficilmente nel presente. Siamo avanti, e allora siamo presi da quello che sarà ma che non è ancora: "Cosa mi capiterà; e se non funzionerà; e se capiterà questo; quando avrò quella cosa, allora sì che; quando avrò la casa, quando sarò sposato, quando sarò in pensione, quando...". Ma il futuro non esiste e si costruisce solo lavorando nel presente. Io creo il mio futuro oggi, adesso. Una donna per caso trovò un uovo. Si disse: "Ma che fortunata che sono! Non lo mangerò, lo metterò a covare e da questo uovo nascerà un pulcino e una gallina. Non la mangerò: farò che mi dia altre uova e altre galline e costruirò il mio pollaio e poi ne farò uno di grande e sarò ricca ricca". E finché pensava tutto questo, sapete che accadde? L'uovo le scivolò dalle mani e si ruppe. Una ragazza americana ha scritto una poesia al suo ragazzo: "Quando torni mi faccio perdonare; quando torni ti chiedo scusa; quando torni non farò più come prima; quando torni ti accetterò per quello che sei e non come voglio che tu sia, quando torni...". Solo che il suo ragazzo non è tornato dal Vietnam. Da piccolo dicevo: "Io da grande farò l'astronauta". E mio papà: "Sì, sì, d'accordo, ma intanto per oggi studia la matematica". E' oggi, con le mie scelte, che costruisco il mio futuro e ciò che sono. De Mello dice: "La vita è quella cosa che ci accade mentre siamo occupati a fare altri progetti". Il futuro, il domani, lo costruisco nell'oggi e vivendo oggi. "Sì, farò anche questa cosa... un giorno o l'altro lo faccio... dovrei fare questa scelta... mi prometto che domani...". Ma la vita è adesso. L'adesso da forma a ciò che sei e a ciò che sarai. L'adesso è ciò che puoi vivere. Quante cose dovremo fare e le rimandiamo: "Dovrei chiederti: "Scusa"; dovrei dirti: "Ti amo"; dovrei dirti: "Ho sbagliato"; dovrei dirti: "Grazie"; dovrei dirmi: "Basta, oggi smetto"; dovrei dirmi: "Qui si chiude"; dovrei dire: "No"; dovrei dire: "Sì"; dovrei dire: "Lascio"; dovrei dire: "Inizio"..." La vita è adesso: se non vivo oggi perché dovrei viverlo domani? Altre volte la gente vive nel passato. "No, ma quella volta tu... i miei genitori dovevano... se tornassi indietro... se avessi saputo...": ciò che è stato è stato, il passato non si può cambiare ma il presente sì. Vivi adesso. Un uomo dice: "Non riesco a dimenticarmi la mia ex (una fidanzata che lo ha lasciato da qualche anno)". Dimenticate gli antichi amori, lasciateli andare, sono passati: oggi è nuovo e non guardate mai indietro. Del passato conservo i benefici, i ricordi belli, ciò che ho imparato ma è passato. Io vivo adesso, oggi. Quante persone continuano ad amare o a sognare persone che non ci sono più nella loro vita. Vita riuscita, felice, beata: vivo e scelgo oggi, non domani, oggi. Vivo e gusto e agisco oggi, non domani. Vita fallita: rinvio, posticipo, spero nel miracolo o che gli altri facciano. 3. Terzo criterio: quello che c'è e non quello che manca, che non c'è. Povertà, afflizione, fame, sete, persecuzione, sono situazioni difficili, di mancanza, di bisogno. Eppure Gesù dice: "Guarda che qui dentro c'è tanto da prendere e da vivere, da imparare e da sviluppare". Un uomo torna a casa prima dal lavoro e decide di pulire la casa per fare una sorpresa e per sollevare la moglie. Riordina, spolvera, scopa, lava e sistema tutto per bene. Quando ritorna a casa la moglie lo guarda e cosa vede? "E te pareva!?". Non vede tutto quello che ha fatto; no, no, vede l'unica cosa che non ha fatto: "Ma non hai portato giù le immondizie!?!". Un uomo ha un figlio meraviglioso: è disponibile, simpatico, generoso, vitale, di compagnia, un leader in gruppo, suona la chitarra e la tastiera, educato. Certo a scuola non è una cima. Cosa vede lui? Solo quello, l'unica cosa che gli manca. Il resto manco lo conta; per lui è terribile avere un figlio così, che a scuola non va bene. Vi ricordate? Tornavate da scuola con la vostra pagella. Ce l'avevate messa tutta: italiano 7, matematica 8, latino 6, greco 7, storia 7, filosofia 7, inglese 5. Cosa vedeva e cosa diceva vostro padre: "Come la mettiamo con questo 5 in inglese?". Il resto manco lo vedeva, manco c'era per lui. Prepari una cena: tutto fantastico, antipasto, primo, secondo, dolce. Sì, in effetti hai bruciato un po' il purè ma il resto buonissimo e benissimo. Ma cosa ti rimproveri: cosa vedi? Solo quello: il purè bruciato. E ti sembra che tutto sia andato male. Stai lavorando su di te. Sei cambiato molto, non sei più quello di una volta, adesso ti accorgi dei tuoi schemi, non reagisci più in automatico come prima, le paure sai gestirle, non proietti più sugli altri e sul mondo ciò che non va di te, ecc. Insomma, quanta strada hai fatto! Ma tu cosa vedi? Tu non vedi quello che hai fatto, ma quello che hai davanti, che c'è da fare. E ti arrabbi e te la prendi e ti dici che dovresti essere più così, più colà, che non sei ancora giunto a, ecc. Sei povero dentro o fuori? Non guardare a ciò che non hai, parti da qui. Invece di guardare a quello che non hai, che non hai fatto, che non sei riuscito a fare, a quello che ti manca, guarda a ciò che hai, che hai già fatto e alle tue risorse. Ti sentirai ricco e felice. Perché se guardi a quello che ti manca, ti mancherà sempre qualcosa. Due uomini dalla loro prigione, attraverso le inferiate, guardano il cielo: uno maledice di essere lì, l'altro ringrazia per la luna e le meravigliose stelle. Uno guarda a ciò che non ha; l'altro a ciò che ha. Due uomini sono sposati, hanno una moglie che li ama e dei bei figli. Uno guarda a quello che ha, ringrazia e si commuove. L'altro guarda a quello che hanno gli altri e s'avvelena il fegato perché lui ha meno di loro. 4. Un altro criterio delle beatitudini è: evitare il dolore o ricercare a lungo termine il piacere di riuscirci? Le beatitudini non dicono: "Evita il dolore; la vita è solo bella; il dolore non c'è". Le beatitudini dicono: "A volte la sofferenza, il dolore, sono necessari per guarire e per trovare un grande piacere (nell'afflizione c'è la consolazione; nell'essere perseguitati c'è il regno dei cieli, ecc.)". C'è un dolore, una difficoltà; che ci viene da fare subito? Evitarlo, scappare. Ma cosa accadrà nel tempo? Ci sono i compiti da fare: se evito di farli che accadrà nel tempo? Sarò bocciato, ma ciò che è più grave è che imparerò ad evitare ogni sofferenza, ogni fatica, ogni dolore. Ma così non si raggiunge niente. Che accadrà, quando ad esempio, ci sarà da ("soffrire") cambiare il mio comportamento? Lo eviterò. Che accadrà, quando dovrò abbandonare delle idee e delle credenze? Lo eviterò per non sentire il dolore della delusione. Che accadrà quando mi renderò conto di essere possessivo e che voglio ingabbiare gli altri? Lo eviterò per non vedermi così (dolore). Che accadrà quando ci sarà da crescere, scegliere, o mettersi in discussione? O cosa accadrà quando dovrò litigare, mettere i punti sulle "i", difendermi e alzare la voce? Lo eviterò per non star male. Ma così, per non voler soffrire, per evitarmi il dolore, soffrirò una vita! Non evitarti il dolore del crescere e del cambiare, il dolore inevitabile della vita. Perché non c'è nessuna perla senza il dolore dell'ostrica. Non c'è nessuna cima senza la fatica della salita. Non c'è nessuna laurea senza la fatica dello studio. Ad un camposcuola un ragazzo si ruppe un braccio. Allora il medico del pronto soccorsi gli disse: "Adesso ti sistemiamo, non ti preoccupare, ti farà forse un po' male, ma non troppo. Ma fra qualche tempo potrei tornare a giocare come prima". "No, io non voglio!; ho paura!; non voglio star male!": il ragazzo non ne voleva sapere. Allora il dottore lo guarda diritto: "Vuoi star male tutta la vita?". "No". "Bene, siccome s'ha da fare, adesso si fa... e chiuso!". Un po' di sofferenza, ma il mese dopo il ragazzo giocava tranquillamente e liberamente. Non evitatevi la sofferenza: utilizzatela (per crescere, scegliere ed essere voi stessi). 5. Un altro criterio delle beatitudini è l'essere differenti. I discepoli e i primi cristiani erano davvero diversi e differenti dagli altri. Erano perseguitati, ridicolizzati, presi in giro, considerati pazzi o plagiati; erano diversi perché erano felici e contagiavano vitalità. Erano diversi perché si comportavano non come gli altri: avevano compassione, tenerezza, lavoravano per la pace, per la ricerca della verità e del non attaccamento. Io devo imparare ad essere come loro: io sono diverso da tutti. Che facciamo noi spesso: ci confrontiamo con gli altri. "Ma quello ha quella cosa; ma guarda quello che fortuna che ha; ma io sono da meno; ma perché a me non capitano le stesse cose...". Ma questo succede anche con i nostri figli: "Tuo cugino... tuo fratello/sorella, vedi come studia bene, come mette in ordine le cose!". Ma nostro figlio ci potrebbe dire: "Giusto, infatti, io non sono lui". O succede con i nostri partner: "Quello di prima...", o con le persone: "L'altro era...", o con le situazioni: "L'hanno scorso... io alla tua età...". Spesso abbiamo bisogno di essere come gli altri e temiamo di essere diversi dagli altri. Ma Gesù (e la sua vita) ci insegna ad essere unici: io sono io e sono diverso da tutti. Se faccio come gli altri allora ho perso me stesso, io non sono più io. Gesù ci invita a creare il nostro stile, il nostro modo di vestire, di parlare, di comportarci, di fare e di agire. Io sono il mio riferimento e nessuno potrà essere come me. Riuscire è essere unici e fallire essere come gli altri. Ci fa sentire protetti, ma ci perdiamo. Se si è se stessi si è unici; e se non si se stessi, mi chiedo, chi si è? E come si può realizzarsi se si vive fuori di sé? Quando qualcuno ti dice: "Oh, ma tu sei proprio strano eh! sei diverso da tutti gli altri", ti senti in colpa, sbagliato. Invece dovresti essere contento: "Sì, è vero, è questo che voglio, non sono come nessun altro". Dobbiamo insegnare ai nostri figli a trovare il loro modo unico di far famiglia, di amare, di relazionarsi, di costruirsi la casa, di vestirsi, di scegliere le proprie attività e il proprio modo di far vacanza. Noi gli insegniamo il nostro, ma se vogliamo bene a loro, gli insegniamo a trovare il loro modo e non a fare come noi. E il modo migliore per insegnarglielo è vivere noi in prima persona come essere unici: non copiare né dagli altri né da quelli prima di noi. Quando morì l'anziano rabbino, il giovane prese il suo posto. Dopo un po' di tempo gli dissero: "Non assomigli in niente a tuo padre". E lui: "No, gli assomiglio invece in tutto. Lui non copiava nessuno e io neanche". La parola ebraica "Beati" viene da una radice che vuol dire "avanti" (ascer-beato in ebraico, ugaritico e arabo significa "andare"). Quando leggo le beatitudini vi trovo dietro le leggi di struttura valide per ogni uomo. Come se mi dicessero: "Vuoi essere felice?". "Vai avanti per questa strada". Pensiero della Settimana Scrivo il nome di tutti i miei santi, i miei angeli... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ...... ... ... ... ... ... ... ...... ... ... ... ... ... ... ...... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ...... ... ... ... ... ... ... ...... ... ... ... ... ... ... ...... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ...... ... ... ... ... ... ... ...... ... ... ... ... ... ... ...... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ...... ... ... ... ... ... ... ...... ... ... ... ... ... ... ...... ... ... ... ... ... ... ...... ... ... ... ... ... ... ...... ... ... ... ... ... ... ...... ... ... ... ... ... ... ...... ... ... ... ... ... ... ...: che fortuna e quanto amore c'è attorno a me! |