Omelia (26-10-2003)
mons. Antonio Riboldi
"MAESTRO, CHE IO VEDA"

E' uno spettacolo che appartiene alla vita di tutti i giorni, quello di incrociare i nostri passi con quelli che i passi non riescono a muoverli, per tante menomazioni fisiche, che li obbligano ad una vita sui marciapiedi: una vita che dipende tutta dalla nostra pietà.
C'è chi ha occhi per vedere la sofferenza del fratello e quasi la fa sua, divenendo buon samaritano che ha cura di lui.
E c'è chi è talmente accecato dal proprio egoismo che non vede affatto il bisogno del fratello e tira diritto come se non esistesse, lasciandolo così, solo, nella sua sofferenza. E' una insensibilità tanto diffusa, oggi, presi come siamo dal nostro egoismo che divora la pietà.
E c'è addirittura chi si infastidisce per la presenza di questi fratelli che tanto assomigliano al "semivivo" incontrato sulla strada di Gerico dal buon Samaritano.
Mi ha sconvolto un giorno, attraversando una via, dove trionfava la voglia di lusso, in una città: in un angolo sedeva un uomo cieco, che si appellava alla pietà dei passanti. Viveva di quello che gli veniva dato. Ma qualcuno ritenne una offesa, in quella via della gente perbene, anche solo la presenza di uno, che ai loro occhi non era "uomo". E invitarono i vigili ad allontanarlo, ciò che puntualmente fecero. So che ebbi un gesto di ribellione e la espressi a voce alta. Mi fu risposto: "Lei faccia bene il suo mestiere, curi la decenza delle anime, noi curiamo la decenza della città".
Non si accorgevano che, cacciando quel povero, davvero sporcavano di egoismo quella via.
E' stupendo il racconto di Marco oggi. "Mentre Gesù partiva da Gerico, insieme ai discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimèo, cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Costui, al sentire che c'era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: "Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me". Molti lo sgridavano per farlo tacere, ma egli gridava più forte: "Figlio di Davide, abbi pietà di me!" Allora Gesù si fermò e disse: "Chiamatelo!" E chiamarono il cieco dicendogli: "Coraggio! Alzati, ti chiama!" Egli, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: "Che vuoi io ti faccia?" E il cieco a lui: "Rabbunì, che io riabbia la vista!" E Gesù gli disse: "Va, la tua fede ti ha salvato". E subito riacquistò la vista e prese a seguirlo per strada" (Mc. 10,46-52).
Gesù certamente aveva visto quel cieco, prima ancora che lui lo chiamasse per nome, implorando pietà. Ma voleva come misurare la sua fede. E bisogna avere una grande fede per chiedere qualcosa che era impossibile anche a sognare, ossia riacquistare la vista.
Il cieco si appella alla pietà di Dio, ossia a quella infinita misericordia, che è la stupenda natura dell'amore di Dio per gli uomini. E quella fede totale viene premiata con l'acquisto della vista. A volte la sofferenza, che ci accompagna come un'ombra in tante forme, ci fa dire: "Perché?" Poche volte invoca "pietà!"
"Il dolore, scrive Paolo VI, è un isolante, per Gesù è un punto di incontro, è una comunione con noi. Ci pensate fratelli? Voi ammalati, voi disgraziati, voi moribondi? Ci pensate voi aggravati dalla fatica, dal lavoro? Voi, resi oppressi e solitari dalle prove e dalle responsabilità della vita?
Tutti vi possono mancare, ma Gesù dalla croce no. Egli è con voi. Egli è con noi. Di più: egli è per noi!...Uomini senza speranza! Uomini che vi illudete di riacquistare la pace del cuore soffocando in fondo ad esso i vostri rimorsi inestinguibili, perché voltate le spalle a Cristo? Abbiamo tutti il coraggio di rivolgerci verso di Lui e di riconoscerci ciechi!
Cerchiamo la fiducia, anzi lo preghiamo di riconoscerci bisognosi di pietà. Lui ci parla di misericordia, ci parla di amore, ci parla di resurrezione". (Paolo VI venerdì santo 1971)
Ma c'è un miracolo nel miracolo in Bartimèo. Appena riacquista la vista, in lui cambia tutta la visione degli uomini, della vita. "Segue Cristo". Dalla cecità fisica viene introdotto nella visione della verità, di Dio!
Possiamo avere ed abbiamo, grazie a Dio, la vista. Oggi la medicina fa miracoli per conservarci la vista. E vedere, tante volte, è come essere partecipe della è gioia e delle bellezza della vita...ma può anche capitare di essere "ciechi" e non vedere il bene, non vedere il fratello, non vedere il volto di Dio. Ed è la peggiore delle cecità. Non c'è peggiore cieco di chi non sa vedere l'altro, sopratutto se assomiglia, in molte forme, al povero Bartimeo. Non vediamo la giustizia, non vediamo il dolore, non vediamo la fame, non vediamo a volte lo sguardo supplice di chi ci fissa negli occhi, che da soli implorano "pietà!" Questa è la cecità da temere.
Come è bello sentire il Salmista che supplica: "Mostrami il tuo volto, Signore! Voglio vedere il Volto del Signore!" Cosi come è stupenda espressione di amore dire: "Come desidero vedere il tuo Volto. Chi non si è fatto riempire gi occhi del fascino della natura e delle bellezze con cui Dio ha riempito la terra? Bisogna essere "ciechi" per non vedere. O chi non si è lasciato affascinare, fissando negli occhi la gioia di essere amati?
I santi tenevano sempre chiusi gli occhi al mondo che nascondeva e nasconde Dio. Ma nello stesso tempo sanno spalancarli di fronte a chi chiede "pietà".
Quella del cieco che, riavuta la vista, segue subito Gesù, è la guarigione totale dell'uomo. Gesù, ogni volta, voleva sottolineare il suo amore che era insieme "vocazione a seguirLo", "fissava negli occhi" il suo interlocutore che, in quel momento, diventava davvero uno profondamente amato.
Abbiamo tutti bisogno di chiedere a Dio di farci cadere le cataratte, che ci impediscono di vedere la verità e l'amore.
"Per troppo tempo, mi diceva una persona un giorno, ho vissuto da cieco. Ero come innamorata di me stessa e non riuscivo a vedere altro che il mio orgoglio, la voglia di bellezza e di piacere.
Un giorno, i miei occhi si sono incrociati con quelli di una persona che considero santa, mandata e formata da Dio, e fu come riacquistassi la vista, ossia la capacità di gioire nel vedere la bellezza di amare, di fare del bene, di essere di Dio. Oggi i miei occhi sono pieni di paradiso, anche quando piangono. Ma considero il pianto come il necessario collirio che dà ancora maggiore luce agli occhi".
Non so se qualcuno di voi ha letto il mio saggio "Carità integrale", edito da Portalupi, un saggio che, con mia meraviglia, è letto da tanti; lì descrivo come il vero amore non si ferma a una parte dell'uomo, ma cerca di riportare l'uomo a quella pienezza di vita, che è la santità. Quella pienezza che Gesù, nel racconto evangelico, ha ridato a Bartimeo, con la vista.
Vorrei pregare con il S. Padre così: "Maria, donaci Gesù!
Fa' che Lo seguiamo e Lo amiamo! Lui è la speranza della Chiesa, dell'Europa e della umanità.
Lui vive con noi, in mezzo a noi, nella sua Chiesa.
Con Te diciamo: "Vieni, Signore Gesù!"
"Che la speranza della gloria infusa da Lui nei nostri cuori porti frutti di giustizia e di pace!" (E.inE n.125).

Antonio Riboldi – Vescovo

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