Omelia (26-11-2002)
Paolo Curtaz
Commento Luca 21,5-11

Siamo nell'ultima settimana dell'anno liturgico, amici, invitati a fissare lo sguardo su Gesù Re dell'Universo, sul destino di salvezza che egli vuole realizzare, lasciando noi suoi figli come avamposto di questo cambiamento, come sentinelle del mattino. In un discorso piuttosto impegnativo, come fa un Padre prima di partire per un lungo viaggio, ai discepoli ancora fragili e spauriti che vorrebbero fuggirlo invece di cambiarlo, il mondo, Gesù dona consigli rasserenanti, modi di vedere le cose e di leggere la storia per i suoi discepoli. Il nostro è il tempo dell'attesa, il tempo della Chiesa chiamata a vigilare con le lampade accese durante la notte. Non affanniamoci a cercare segni del ritorno del maestro Gesù, non corriamo dietro a improvvisati profeti che minacciano catastrofi: se sentiamo parlare di guerre e rivoluzioni, di terremoti, carestie e pestilenze non ci scoraggiamo, ma lottiamo per ottenere un mondo più evangelico e umano. L'atteggiamento del cristiano nel mondo è un atteggiamento di chi non subisce la storia ma la feconda, e Dio solo sa in questo difficile momento per l'umanità, momento di violenza e di sopraffazione, di quanto i cristiani debbano lavorare per affermare il diritto e la giustizia. In attesa del ritorno del Signore non siamo chiamati a oziare, o a vivere blindati nelle nostre comunità, nei nostri movimenti, protetti dalle mura dei nostri monasteri, ma siamo chiamati a diventare testimoni di pace, con lo sguardo rivolto all'altrove, alla presenza serena e feconda del Signore Gesù.

Anche se gli eventi della storia ci spaventano, Signore, noi aspettiamo fiduciosi il tuo ritorno, costruendo la città degli uomini con tenacia e umiltà, professando il vangelo a servizio dell'uomo nuovo là dove oggi vivremo, senza terrorizzarci per rivoluzioni e guerre ma lottando tenacemente per diventare uomini che amano e costruiscono la pace, Dio che tornerai alla fine dei secoli.