Omelia (11-10-2002)
Paolo Curtaz
Commento Luca 11,15-26

Vi capita mai di essere turbati dalla parte oscura della realtà? A me sì, spesso. E' una delle verità della vita interiore che abbiamo trascurato: la vita è combattimento spirituale, esiste cioè come una forza distruttrice dentro ciascuno di noi che ci porta all'annientamento: depressione, scoraggiamento, esaltazione... tutto ciò, insomma, che ci allontana da noi stessi e dal vero, una specie di forza oscura, che ci impedisce di essere felici e liberi. Gesù lo chiama "avversario" e una persona mi faceva notare - sorridendo - che se si chiama "avversario" significa che si può combattere e sconfiggere. Esatto: la parte oscura di noi è controllabile, soggetta alla Parola; solo ci vuole pazienza. L'inquietante parabola di oggi ci ammonisce: attenti a non voler far diventare la nostra vita una specie di asettica sala operatoria, cioè teniamo in conto che per sempre dovremo avere a che fare con i nostri difetti e le parti fragili. Rischiamo - spesso - di ridurre il cristianesimo a moralismo, ad una specie di immenso sforzo ascetico per eliminare i nostri difetti. Calma, ci ammonisce il Vangelo, i tuoi difetti vanno anzitutto accolti e accettati, Dio non vuole dei giusti ma dei figli, e tutta la vita è cammino guardando più che a ciò che non riusciamo a fare nella nostra vita interiore, a ciò che invece Dio compie in noi, per non cadere in una specie di autocompiacimento spirituale che puzza molto di egoismo. Sorridiamo quando fatichiamo a togliere qualche aspetto che ci trasciniamo dietro da anni, che non succeda, finalmente, di vederci piombare in casa gli spiriti immondi della parabola, tutti contenti di avere trovato una dimora tutta bella pulita!

Ci spaventa, Signore, la parte oscura di noi, il peccato, l'autolesionismo, l'egoismo. Eppure tu, Dio paziente, ci chiedi di accettare con realismo i nostri limiti, mettendoli nelle tue mani. Aiutaci a fissare lo sguardo più sul tuo perdono che sul nostro peccato, Dio paziente e misericordioso.