Omelia (08-12-2010)
don Alberto Brignoli
Dove sei?

"Dove sei, Dio?". Quante volte, con la bocca o anche solo nel nostro cuore, ripetiamo o addirittura urliamo questa frase al cielo.
E ne abbiamo ben di che pronunciarla... è sufficiente aprire le pagine di un quotidiano, ascoltare i titoli di un notiziario radio televisivo, navigare in internet, per sentirci autorizzati a fare le nostre rimostranze all'Eterno.
"Dove sei, Dio?", mentre camminiamo sui marciapiedi dei nostri paesi e delle nostre città pensando di poter rincasare tranquillamente, ma non è così; mentre varchiamo la soglia di una casa di cura carichi di speranze, ma non è così; mentre ci mettiamo in strada in bicicletta per ritemprare il corpo e lo spirito, ma non è così...
"Dove sei, Dio?", quando la vita è l'esatto contrario di quello che vorremmo che sia, e le attese diventano angosce, i sogni incubi, e i progetti fallimenti? Quante volte, davvero troppe, risuona questa domanda nella nostra esistenza senza trovare risposta...
Oggi però Dio - come se si sentisse offeso da questo incalzare - ributta la domanda su di noi: uomo, "dove sei?". Perché non rispondi? Dove ti nascondi? E soprattutto, perché ti nascondi, se in questo Giardino della Vita in cui ti ho collocato ti trovi bene?
Mi sono nascosto, Dio, perché ho udito la tua voce nel Giardino e ho avuto paura, e mi sono nascosto perché ero nudo e avevo vergogna di te.
Sì, perché tu non sei come me. Tu sei onnipotente, io no. Tu sai distinguere il bene dal male, i buoni dai cattivi, io no. Tu sei immortale, io no. Ma siccome nonostante questo io mi sento onnipotente, immortale e moralmente perfetto, quando mi incontro o mi scontro con te ho vergogna, sento di essere nulla, come nudo di fronte a te, e così mi nascondo.
Ma sai bene che non è colpa mia: è colpa del frutto dell'Albero della Vita di cui non avrei dovuto mangiare. Anzi: è colpa della donna che mi hai messo a fianco perché fosse un mio aiuto, simile a me. Anzi, no; non è nemmeno colpa sua, ma del serpente, la più astuta fra tutte le tue creature, che ci ha ingannati, facendoci credere cose non vere. Ecco, sì: tutta colpa del serpente, la più astuta fra le creature di Dio...
Ma... non ero io la più astuta e intelligente delle creature del Signore? Qui ora ci si interroga: Dio ha da sempre considerato l'uomo il culmine più alto della Creazione, il più intelligente, il più razionale... il più simile a lui, al punto da essere "a sua immagine". E allora, come ci può essere un "serpente, il più astuto fra le creature del Signore", il più abile a conseguire le proprie finalità, in questo caso coincidenti con quelle di Dio Creatore: voler essere "come lui", immortali, onniscienti e onnipotenti? Con metodi anche un po' ingenui, tra l'altro: mangiando del frutto di un albero, come se si trattasse di una magica pozione d'immortalità.
Ma il problema rimane: la più astuta tra le creature istiga l'uomo (o non si tratterà dell'uomo stesso?) a fare ciò che Dio non vuole. E se Dio è Bene (dubbi al riguardo, credo ce ne siano pochi) e vuole il Bene, ciò che l'uomo fa è il male, il contrario del Bene. Ma se Dio è Bene, da dove dunque viene il male?
Agostino d'Ippona si scervellò durante diversi anni della propria vita a trovare una risposta a questa domanda. Qualcuno (amante delle teorie manichee) gli aveva messo in testa che esistono due principi, quello del Bene che è Dio e quello del Male altrettanto forte, che eternamente lottano tra loro, e a seconda di chi prevale si manifesta il Male o il Bene. Ma Dio è l'Assoluto, e non possono esistere principi che giocano "alla pari" con lui... Da dove, dunque il male, che i cristiani chiamano "peccato"? Se è l'uomo che lo compie, non sarà forse lui l'origine del male? Forse l'origine del male è proprio in quella "astuzia" che Genesi affibbia al serpente, creatura di Dio, ma che simbolicamente rappresenta la possibilità che l'uomo ha (perché è Dio che l'ha creato così) di scegliere di fare a meno di lui, di volersi sentire come lui e quindi indipendente dal riferimento al suo Creatore.
È la libertà (il libero arbitrio, lo chiama Agostino) che l'uomo ha di poter rifiutare la Grazia di Dio. Dio ci ama e si fida a tal punto di noi che ci crea liberi di poterlo seguire o di poter fare a meno di lui, proprio perché non siamo suoi servi, ma sue creature, suoi figli, con i quali instaura un rapporto di fiducia. E la storia ci ha dimostrato subito che fine ha fatto la fiducia che Dio ci ha dato: prima il desiderio di voler essere come lui, poi la menzogna e lo scaricamento delle responsabilità ("la donna che TU mi hai posto accanto...": che coraggio... colpa della donna e anche di Dio che gliel'ha messa accanto; "il serpente mi ha ingannata"... una zappa sui piedi... come a dire "non è colpa mia, ma della libertà creata che mi hai dato!"), poi due fratelli le cui invidie sfociano in omicidio. E poi via via, tutto il resto: dalle dissolutezze dei contemporanei di Noè alla Torre di Babele, fino a Sodoma e Gomorra e poi avanti ancora fino ai nostri giorni, in ogni epoca e in ogni parte della terra.
Storie di una fiducia mal ripagata, storie di una libertà utilizzata nel peggiore dei modi. Storie di quegli "esuli figli di Eva", come ci hanno insegnato a pregare sin da piccini, stirpe e discendenza di un'umanità che se vuole può dominare un male che comunque continua ad "insidiarle il calcagno" perché troppo insito in lei.
Ma Dio (e l'Avvento ce lo sta continuamente ricordando) non abbandona il suo popolo. Dio si ricorda di noi, ha compassione anche delle nostre meschinità. E se un giorno un uomo e una donna, a causa di un albero, ci avevano chiuso le porte del Regno dei Cieli, nella pienezza dei tempi, quando a Dio è parso opportuno, un uomo e una donna, Figlio e Madre (ma insieme Figlia del suo stesso Figlio) ci riaprono queste porte non più "a causa", ma "grazie" al legno di un altro albero, quello della Croce, a cui entrambi, in maniera diversa, hanno proteso le loro mani.
Cristo, nuovo Adamo, salì sulla croce, e fu per noi Redenzione; e la Grazia che Eva ci tolse ci è ridonata in Maria, nuova Madre di tutti i viventi. E questo è possibile per un "sì" detto a Dio da una Donna appartenente - come tutti noi - alla stirpe di Eva, dopo il "no" delle origini detto a un Dio che chiedeva all'uomo solo un po' di fiducia in lui. Una Donna sulla cui umiltà Dio ha da sempre gettato il suo sguardo (chiedendoci ora di fare altrettanto) predestinandola - senza la macchia della colpa originale - ad essere Madre del suo Unigenito figlio, e predestinando noi, un'altra volta, a essere in lei suoi figli adottivi.
Un'altra volta: Dio, nonostante tutto, scommette un'altra volta sulla propria fiducia nei confronti dell'uomo, e decide di non lasciarci soli. Questa Liturgia è quasi un anticipo del Natale, e forse anche per questo ci aiuta a considerare una cosa che a Natale ci sfugge sempre un po', perché presi da altri pensieri: e cioè che Dio nonostante tutto non si è ancora stancato dell'uomo. Non è stato perduto nulla in maniera definitiva, con il peccato delle origini. In Cristo e in sua Madre, Dio ci ridà sempre una possibilità, e lo fa a partire proprio dalla nostra umanità, dal nostro essere uomini.
Non ci vuole immacolati, perché è realista e sa che non lo saremo mai. Ma almeno, se la smettiamo di dare la colpa a chi ci sta accanto o a "tutto quel male che c'è nel mondo", e ci assumiamo la responsabilità delle nostre azioni, ora ci fa sapere che ci è offerto un perdono che sarebbe da stupidi rifiutare.