Omelia (26-10-2002) |
Paolo Curtaz |
Commento Luca 13,1-9 Gesù parte da un fatto di cronaca per affermare una grande verità: le tragedie della vita non sono punizione di Dio, ma invito pressante a rispondere alla chiamata di Dio. Siamo liberi di accettare o rifiutare la chiamata del Signore, tragicamente liberi di rifiutare la felicità. La libertà è l'altra faccia dell'amore; non si può costringere l'altro a riamarti, non lo puoi ricattare, convincere, non ti puoi disperare. La libertà che si mette in gioco è assoluta, limpida, cristallina. Non c'è scampo. E in questa libertà ci giochiamo, tra le altre cose, la pienezza di vita con Dio. Mi spiego: se Dio esiste e mi ama, come Gesù ci ha rivelato, non può che lasciarmi libero di accettare o di rifiutare questo amore inaudito. Drammaticamente libero. Libero di passare la vita alla porta della fede, magari dall'alto del mio pregiudizio o della mia superiorità intellettuale a giudicare il "fenomeno religioso"; drammaticamente liberi di adattare il volto di Dio a un Dio più comodo, a mia immagine e somiglianza; libero di relegare la fede in un angolo della mia vita, così che non disturbi eccessivamente le mie scelte. Se la priorità è di Dio (e quanto insisto su questo fatto!), se la stragrande parte del lavoro lo fa Lui, se sua è l'iniziativa di venirmi incontro, è pur vero che per me entra in gioco la libertà della risposta, dell'adesione. Tutti ascoltiamo la stessa Parola, tutti leggiamo lo stesso Vangelo, tutti, chi più chi meno, abbiamo la possibilità di fermarci ad ascoltare il più profondo di noi stessi che ci parla di Dio. Nel segno dell'esagerazione, caratteristica tipica del Dio di Gesù Cristo, il Signore aspetta, pazienta, ci zappa intorno affinché portiamo frutto. Questa ostinazione di Dio, come di amante pieno di attenzione, si concretizza nell'esile speranza che il fico che sfrutta il terreno senza portare frutto possa alla fine cambiare. Non saremo forse anche noi un po' come questo fico? Disposti a sfruttare il terreno, tirando in ballo Dio quando ne abbiano bisogno, ma non disposti a portare frutti di cambiamento, di vita nuova? Il nostro Dio vicino, il nostro Dio amico, il nostro Dio Padre, svelatoci definitivamente e infallibilmente dal Figlio Gesù, ci chiede di corrispondere a questo amore, di metterci in gioco, di aderire col cuore, con la vita, con la fede a questa proposta. Un atteggiamento chiamato "conversione", che potremmo ribattezzare: adesione, coinvolgimento, partecipazione. Dio chiama ciascuno a fare il salto, a riconoscerlo presente nella vita di ciascuno di noi, attento a zappare nella nostra vita finché portiamo frutto. A conclusione, quindi, di questa impegnativa pagina, non mi resta che ripetere con S.Agostino: "Temo il Signore che passa". Sì: ho paura che il Signore passi. E io non me ne accorga. Converti il nostro cuore, Dio paziente. |