Omelia (02-12-2002) |
Paolo Curtaz |
Commento Matteo 8,5-11 Il tempo dell'avvento che abbiamo iniziato è il tempo dell'attesa, tempo della nascita. Non siamo qui a far finta che poi Gesù nasce: Gesù di Nazareth è già nato, possiamo individuarne le tracce nella storia, ricuperarne il volto, seguire l'impronta che questo ebreo marginale ha lasciato nella civiltà... No, quello che vogliamo chiederci è se Gesù sia già nato nel nostro cuore, se ha trovato spazio e accoglienza nella nostra vita... Attenti alle risposte di comodo, non diamo per certa la nostra appartenenza alla fede: il tempo dell'avvento, tempo "forte", ci è dato, appunto, per scuoterci dall'abitudine, per spezzare l'asfalto che anestetizza la fede, che la rende "abituale", "normale"... E' proprio per evitare il rischio della non-significanza, della dimenticanza che ogni anno ci è chiesto, come il centurione, di ravvivare il dono della nostra fede. Il centurione pagano, non i devoti di Israele, suscitano ammirazione in Gesù. Proprio a chi – come noi – è abituato alla fede è chiesto l'atteggiamento della fiducia, dell'adesione continuamente stupita al Signore Gesù. Questo è il gioco della fede: restare dietro a Dio, cogliere ogni suo cambiamento, evitare di sedersi perché il figlio dell'uomo non ha dove posare il capo. Siamo abituati a pensare alla Chiesa come a una struttura monolitica, irremovibile, alla fede cattolica come a un insieme di dogmi statici e reazionari. Vero, abbastanza, anzi no. Se la fede è la stessa, se il patrimonio, il tesoro è custodito per sempre, ai discepoli è chiesto, invece, dinamismo e disponibilità allo stupore, voglia di cambiare. Perciò di anno in anno la liturgia ci chiede di ri-cominciare, di ripercorrere le tappe della storia della salvezza, di ripartire come nudi alla sequela del Maestro Gesù, poiché nulla uccide l'amore più dell'abitudine, nulla ci distoglie dalla fede più della pigrizia, nulla è più sgradito al Dio dell'Alleanza dell'imborghesimento della fede dei suoi figli. Coraggio, allora, è tempo di mettersi in cammino incontro al Dio che viene. A noi, che veniamo dall'Oriente e dall'Occidente, è chiesto di sederci a Mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe e – con stupore – ancora diciamo: Marana thà, vieni Signore Gesù! |