Omelia (06-12-2002)
Paolo Curtaz
Commento Matteo 9,27-31

Nella pagina di oggi, il Maestro Gesù vincola la guarigione dei ciechi alla loro fede, come a dire: ciò che voi chiedete si verificherà solo se la vostra fede sarà cristallina e forte... Riflettiamo sul miracolo, allora. Quante volte chiediamo a Dio un intervento, una guarigione, un aiuto in un momento difficile di un rapporto affettivo, quante volte chi chiede ha una fede fragile, un po' – diciamo – opportunista, che si rivolge a Dio solo nel momento del bisogno... Cos'è, allora, il miracolo? Un intervento di Dio per sanare una situazione errata che – in fondo in fondo – è causa sua? Un corrompere benevolmente un Dio onnipotente distratto e insensibile? Perché, dunque, assistiamo a così pochi miracoli? Perché troppe volte la nostra preghiera non viene esaudita?
Il Dio a cui ci rivolgiamo è un Dio compassionevole, che sa ciò di cui abbiamo bisogno: non ci stiamo rivolgendo a un despota da corrompere, ma ad un Padre che, a un figlio che gli chiede del pane, non gli dà certo una serpe! Se Dio non ci esaudisce è forse perché ciò che noi reputiamo essere nostro assoluto bisogno, non è la principale cosa di cui veramente necessitiamo. La seconda chiave di interpretazione ce la offre Gesù in persona: forse Dio non ci esaudisce perché la nostra fede è fragile e demotivata, il miracolo non avviene perché la mia fede è piccola, non quella di Dio.
Il miracolo, insomma, nel Vangelo riveste un'importanza relativa, funzionale: è un segno che ci svela la presenza del Regno, un cartello indicatore indirizzato verso un'altra dimensione. Il rischio – già presente nel Vangelo – è invece fermarsi al miracolo: l'importante è che io sia esaudito, poi chi mi esaudisce non importa... Attenti a non essere più ciechi dei ciechi del Vangelo di oggi, a spalancare lo sguardo per vedere i tanti miracoli con cui Dio riempie le nostre giornate, la bellezza, la generosità, la libertà che riempie il nostro cuore. Il più grande dei miracoli è – davvero – accorgersi del Dio che viene.

Guarisci la nostra incredulità, Signore, guarisci la nostra poca fede, la nostra bramosia di vederci esauditi senza metterci in gioco, la nostra superficialità che non vede un Padre che ci ama, ma un potente da convincere. Marana thà, vieni Signore Gesù!