Omelia (11-12-2002) |
Paolo Curtaz |
Commento Matteo 11,28-30 Il volto di Dio, dicevamo ieri. Potremmo quasi tagliare la storia dell'umanità a metà: il tempo della ricerca e il tempo della scoperta, il prima e il dopo la venuta di Cristo. Il prima: la faticosa ricerca dell'uomo di un senso, di una misura, della verità, storia illuminata dall'esperienza di un popolo, Israele, fiero di avere ricevuto una missione straordinaria: raccontare Dio, poiché a lui Dio si era raccontato. Un'esperienza, però, fatta di momenti esaltanti e di fatica e fallimenti, di grandi slanci e scoperte e di ripensamenti e debolezze finché Dio, stanco di essere frainteso, è venuto a raccontarci il suo vero volto, a mettere un punto definitivo, a raccontarsi nel Signore Gesù. Il dopo: un popolo, La Chiesa, che cerca di restare fedele al volto di Dio, di annunciarlo, di viverlo, anch'essa in continuo equilibrio, in precaria condizione, in cammino verso la pienezza tra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio. Natale è fermarci al centro, al cuore, al dramma di un Dio che chiede accoglienza, alla sfida di un cambiamento di mentalità, Natale è lo sconcerto di un Dio che diventa bambino, che svela un volto fragile, che rischia – cosa è più indifeso di un bambino? – di essere ignorato, dramma di un Dio che talmente ama l'umanità da correre il rischio di essere frainteso... Gesù è l'unico che può ristorare le nostre anime, l'unico che può con verità accogliere chi è affaticato e oppresso. Gesù è davvero il rifugio della nostra vita, rifugio esigente, però, che ama e consola ma che chiede di imitarlo. Colui che ha conosciuto la tenerezza di Dio diventa testimone e specchio di tale amore per l'umanità, per il fratello che incontra. Viviamo questa giornata di attesa del Natale vivendo con mitezza, cioè in un atteggiamento non-violento ma propositivo e accogliente e umile, cioè consapevole che non possediamo nel nostro cuore la risposta al vivere ma che solo in Dio possiamo ricevere pace e luce. Noi veniamo a te, Signore, stanchi e oppressi, perché solo tu sai dare sollievo e libertà, e ci mettiamo alla tua scuola, per diventare miti e umili di cuore. Marana tha, vieni Signore Gesù! |