Omelia (02-01-2011)
Suor Giuseppina Pisano o.p.
Chiamati ad una grande speranza

La liturgia eucaristica di questa seconda domenica di Natale ripropone alla nostra riflessione il prologo del vangelo di Giovanni, già proclamato nel giorno stesso della Natività del Signore.
Un tempo questo brano del Vangelo veniva proclamato ogni giorno, a conclusione di ogni celebrazione eucaristica, quasi a ricordarci incessantemente il senso profondo dell'intera storia dell'umanità e della nostra stessa storia personale che è iscritta in essa.
Questa Storia inizia da molto lontano, inizia da quel principio eterno che non è un inizio temporale, ma principio di vita: la vita stessa che ha origine in Dio; e questo principio, che forse dovremmo scrivere con la lettera maiuscola, è il Verbo di Dio, la Sapienza infinita; è la parola sostanziale: il Figlio della stessa sostanza del Padre e Dio con Lui.
Scrive Giovanni: "In principio era il Verbo e il Verbo era presso e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio, e tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste".
Tutto il creato, con la sua meravigliosa ricchezza e armonia, con le forme di vita via via più complesse e perfette, fino ad arrivare all'uomo, intelligente, libero e capace di amare, l'uomo immagine del suo creatore, tutto è stato fatto per mezzo di quell'unico Figlio, Parola del Padre, parola eterna, che eternamente ispira amore, quell'Amore che è Spirito e regge l'universo.
E' questa la nostra origine, da qui prende le mosse la nostra storia, una storia che sarebbe dovuta essere un'incessante filiale amicizia con Dio, e che l'antico peccato, di cui ancora portiamo i segni, ha inquinato e deviato.
Da allora, nella vicenda umana si è instaurata una tremenda dialettica di scontro tra luce e tenebre, bene e male, accoglienza e rifiuto; dialettica che ancora segna ed accompagna l'esistenza, impegnandoci nella scelta: una scelta radicale e talvolta drammatica per noi, uomini fragili ed incoerenti, chiamati tuttavia a scegliere: o Dio o contro di Lui, o fiduciosi nella Parola, o sicuri di noi stessi, dei nostri progetti e di quella nostra libertà, che in realtà, libertà non è perché, sganciata dal piano di Dio, essa non conduce alla salvezza.
E' la drammatica storia dell'umanità, inquinata dal male, frutto del peccato che ha posto l'uomo contro Dio, suo Creatore e Padre; è la storia della lunghissima vicenda umana che conosciamo molto bene, una vicenda attraversata da ingiustizie, violenze, ed ogni altro male di cui l'uomo è capace, ieri come oggi; male e violenza che ci fanno rabbrividire, soprusi, sfruttamenti a danno dei deboli e dei poveri, che ci fanno indignare, e che sono ancora alla ribalta delle nostre cronache.
Eppure in questa bimillenaria vicenda, così oscurata dal male, è entrato, nella pienezza del tempo, il Figlio di Dio, nel quale, come scrive Giovanni: "...era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta... venne tra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto...."; non hanno accolto il dono grande di Dio che si manifesta in quel Bambino: il Bambino di Nazareth, il Figlio unigenito, la Sapienza eterna che si nasconde in quel Figlio dell'uomo, nel quale Dio in Cristo si spoglia della sua potenza, per raggiungere, nella carne umana, ogni altro figlio d'uomo.
Ma, in questa vicenda in cui si alternano e si contrastano bene e male, luce e tenebra, si apre un varco luminoso e carico di speranza indistruttibile: "A quanti però l'hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio; a quelli che credono nel suo nome...".
Ecco: la fede, l'ascolto, l'accoglienza del Cristo, Figlio di Dio e Figlio dell'uomo, che ci chiama ad una comunione di vita, ad un rinnovamento di vita col battesimo, questa fede ci fa figli di Dio, figli nati non semplicemente da sangue umano, ma rigenerati dal sangue divino del Salvatore; figli nati non solo "da volere di carne, e da volere di uomo, ma rigenerati da Dio", nel Figlio Redentore, che ora contempliamo bambino.
Una verità grande e consolante, che Paolo ci ricorda con queste parole: "Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati, al suo cospetto, nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo..."
E la santità di cui l'Apostolo parla è quella accessibile ad ogni uomo o donna, e che si realizza nell'amore; amore che nasce dallo Spirito; amore che è conoscenza, desiderio, accoglienza, contemplazione, lode, comunione e annuncio di evangelizzazione.
Siamo in contemplazione del Bambino che è nato a Betlemme; negli ultimi giorni di Avvento abbiamo supplicato con queste parole della liturgia: "O Sapienza, che esci dalla bocca dell'Altissimo, e ti estendi ai confini del mondo, e tutto disponi con soavità e forza, vieni, insegnaci la via della saggezza".
Ora quella Sapienza, di cui anche il Siracide ci ha detto, che ha posto "le sue radici in mezzo a un popolo glorioso, porzione del Signore e sua eredità", quella Sapienza è sotto i nostri occhi, perché il bambino di Nazareth, il figlio di Maria e del carpentiere Giuseppe, è lui la Sapienza di Dio, il Verbo unigenito, il Figlio fattosi uomo per condurre ogni uomo, ognuno di noi, senza esclusione di alcuno, alla salvezza eterna; noi che, come Paolo insegna siamo chiamati a "un tesoro di gloria", a godere per sempre l'eredità dei figli, resi santi dalla Redenzione, operata da quell'unico Figlio: Gesù di Nazareth, nostro Salvatore, che oggi contempliamo Bambino.
Ed ecco che dalla contemplazione di questo Piccolo, nel quale riponiamo la nostra fede e la nostra speranza, nasce l'impegno, il dovere, la gioia dell'annuncio, che Cristo è il redentore dell'uomo, Lui la nostra unica vera speranza di felicità e di vita eterna.

mrita.pisano@virgilio.it