Omelia (02-01-2011)
LaParrocchia.it
Conoscere Cristo per conoscere l'uomo

Stando alla cronologia giovannea, Gesù fu messo a morte la vigilia della festa degli azzimi, cioè nel pomeriggio della Pasqua, nell'ora stessa in cui, secondo le prescrizioni della Legge, nel tempio si immolavano gli agnelli.
Dopo la morte non gli furono spezzate le gambe come ai due condannati crocifissi con Lui; circostanza in cui S. Giovanni vede la realizzazione di una prescrizione rituale riguardante l'agnello pasquale. In altre parole, Gesù, il Cristo, è l'agnello della nuova Pasqua che, con la sua morte, inaugura la liberazione del popolo di Dio.
Il Battista è un profeta (voce, dice lui) e un testimone del Cristo. Non annuncia, perciò, un messaggio proprio, ma ripete e convalida quanto Dio ha già annunciato tramite i suoi portaparola e che i suoi ascoltatori, le autorità giudaiche, dovrebbero già conoscere e soprattutto seguire, se non fossero stati occupati solo a contestare la sua predicazione.
Tra gli avversari di Gesù, i farisei sono stati sempre in prima linea; anche nel brano evangelico di oggi si sentono autorizzati a prendere la parola per mettere in contraddizione o sotto accusa il precursore; ma Giovanni sfugge alla loro insidia e prende occasione per puntualizzare la sua missione, il senso del battesimo che amministra e il suo rapporto con Cristo.
Il rito battesimale che compie è solo simbolico; non opera la purificazione interiore a cui prelude, riservata all'azione dello Spirito che caratterizza il tempo messianico che egli annunzia ma non anticipa.
Giovanni non esiste per sé, ma solo per presentare un altro che, pur essendo nato dopo di lui, esisteva prima di lui ed era superiore a lui come il padrone è al di sopra del suo servo, colui che scioglie i calzari.
I discepoli del Battista fondavano la superiorità del loro maestro sul fatto che egli era nato prima del presunto messia. Giovanni, invece, la pensa diversamente e saluta il novo arrivato come il liberatore che l'umanità attende, l'Agnello che toglie il peccato del mondo.
Il peccato, non i peccati: peccato che è rifiuto della verità, della vita, della luce, del disegno di Dio; è l'incredulità personificata, la menzogna, l'errore. Esso è destinato a scomparire con il Cristo, chiamato a sconfiggere il demonio e tutto quello che fa capo a lui.
A questa persuasione Giovanni è arrivato non fidandosi delle proprie intuizioni, ma meditando sulla teofania, cioè sulla manifestazione, a cui ha assistito nel battesimo. Lo Spirito, ossia la stessa carità di Dio (per questo scende dal cielo) è sceso sopra Gesù sotto forma di colomba, immagine che rievoca probabilmente lo spirito di Dio che aleggiava sulle acque primordiali, e si ripropone di instaurare una creazione nuova. Al posto dell'arca, Dio assicura la sua presenza tra gli uomini per mezzo di Cristo, il tabernacolo vivente in cui è dato incontrarlo.
Gesù è l'uomo pieno dello Spirito di Dio; Spirito che non riserva solo a sé, ma che comunica a tutti coloro che crederanno in lui e riceveranno il suo battesimo, che è l'unica via per "diventare figli di Dio". Dalla pienezza di lui tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia.
Gesù toglierà il peccato dal mondo perché battezzerà nello Spirito Santo; le tenebre e la morte scompaiono perché subentrano la luce e la vita. Si avrà quella nuova nascita, di cui Gesù parlerà un giorno a Nicodemo. La nascita alla vita della grazia, così necessaria che S. Giovanna d'Arco, ai giudici che le chiedevano se era certa di essere in grazia di Dio, rispose:"Credo di averla in me, ma qualora l'avessi perduta, chiedo a Dio di restituirmela subito".
L'evangelista è un teologo ma anche un pastore d'anime. Per questo sembra voglia dirci di non fondare le nostre certezze sull'ultimo che arriva a parlarci di Dio, a minacciarci con lo spavento della fine imminente del mondo. Il Cristo a cui dobbiamo credere è quello presentato dai Vangeli, da chi lo rappresenta visibilmente, da chi parla in suo nome. Chi lo presenta diversamente da come ne parlano i Vangeli va allontanato, come diceva S. Paolo ai Galati:"Se anche un angelo venisse a predicarvi un altro Vangelo, sia scomunicato".
In altra circostanza Giovanni disse:"Tra voi c'è uno che non conoscete" E' il versetto più sofferente del Vangelo. Altri versetti soffrono, come quelli della Passione, ma si placano, per così dire, nel compimento stesso del dramma, la tragedia del Golgota. Questo soffre ancora, soffre sempre, perché è sempre vero che Cristo, nostro contemporaneo, è ancora sconosciuto. La tragedia continua; e non è solo del Cristo, è anche dell'uomo. Noi siamo irrimediabilmente (storicamente) cristiani; ma la non conoscenza del Cristo rende impossibile il nostro sviluppo di cristiani, unicamente condizionato a questa conoscenza. Così si fallisce allo stesso nome, e si continua il drammatico equivoco di dirci cristiani e non esserlo. Peggio. Fin che il Cristo è sconosciuto. L'uomo resta "questo sconosciuto", perché la conoscenza di sé e della sua missione e destino, l'uomo l'acquista soltanto entrando nel .problema religioso di Cristo, ed entrandoci con quella conoscenza che è mirabilmente espressa dal verbo francese di pronuncia oramai claudeliana: co-naître. Dice un conoscere che è un nascere insieme. Un più vero conoscere.