Omelia (01-01-2011)
don Alberto Brignoli
Liberi di credere alla Pace

Ci è chiesto, in questo primo giorno dell'anno solare, di riflettere sul tema della Pace. Ogni anno viene dato dal Papa un tema per questa giornata. Vista l'urgenza dettata anche dai fatti che continuamente accadono in ogni parte del mondo, l'accento di quest'anno è posto sul tema della libertà religiosa come via privilegiata per la pace. Non è difficile far correre il pensiero a quelle situazioni di intolleranza religiosa che spesso sfociano in atti di vera e propria persecuzione, in modo particolare nei confronti dei cristiani, ma non solo. Pensando comunque alla nostra confessione religiosa, credo non esista alcun continente sulla faccia della terra in cui non ci siano atteggiamenti persecutori, più o meno espliciti, nei confronti dei credenti in Cristo (si parla di un dato di 200 milioni di cristiani - il 15 % del totale - che subiscono discriminazioni a causa della fede).
E questa "cristianofobia" non si manifesta solamente in atti diretti di persecuzione che il più delle volte portano all'uccisione dei cristiani, spesso anche con raccapriccianti fenomeni di massa. Anche in situazioni di apparente tranquillità e di apparente rispetto e tolleranza religiosa, il cristiano si trova ad essere oggetto di attacchi indiscriminati che mettono a dura prova la sua perseveranza nella fede. Pensiamo anche solo al bombardamento mediatico che - il più delle volte in maniera latente e quindi ancor più subdola e pericolosa - viene fatto nei confronti di chi pubblicamente si dichiara credente in Cristo, soprattutto quando è chiamato a dare un giudizio sull'etica dei singoli e della collettività. Ogni volta che in un salotto televisivo (i cosiddetti "talk-show") viene toccato un argomento in cui la posizione della Chiesa è netta ed inequivocabile (pensiamo all'eutanasia, alla bioetica, alla libertà di scelta dell'orientamento sessuale), si invita un suo rappresentante (spesso volutamente scelto tra i più impreparati nel mondo della comunicazione) per farlo facile bersaglio del fuoco incrociato dei "laicisti" di turno: e tra l'altro, è uno dei pochi casi in cui non esiste più né destra né sinistra, né progressisti né conservatori. Appena si può "darla dietro" ai cristiani e alla Chiesa come istituzione che li rappresenta, tutti quanti divengono inspiegabilmente alleati: gli attacchi alla Chiesa sono sempre squisitamente "bipartisan"...
È evidente che questa è ben poca cosa rispetto ad un bomba collocata all'interno di una Chiesa gremita di gente in Nigeria o a un attacco "kamikaze" su un gruppo di fedeli riuniti in preghiera nel nord dell'India; ma è altrettanto vero che questa è la realtà nella quale noi viviamo e all'interno della quale siamo quotidianamente chiamati a rendere ragione della speranza che è in noi, e quindi a difendere (a volte - va detto - anche eroicamente) il Credo che professiamo e i valori che da esso conseguono. Noi, in definitiva, difficilmente correremo il rischio di subire attentati a motivo della nostra fede: ma sono altrettanto convinto che la nostra testimonianza cristiana, pur lasciata libera di esprimersi, è continuo bersaglio quantomeno di derisioni, di atteggiamenti sarcastici, se non addirittura di insulti e ingiurie. Ma qui, nessuno parla di discriminazione religiosa...
Credo tuttavia che, tornando al tema della libertà di espressione religiosa come via privilegiata per la pace, il fenomeno dell'intolleranza e della persecuzione vada inteso nella sua globalità per essere affrontato in maniera adeguata.
Occorre innanzitutto avere uno spirito critico, nei confronti del fenomeno stesso ma anche nei nostri stessi confronti. Ciò significa, da una parte, che non bisogna fare di tutta l'erba un fascio: è abbastanza semplice, oserei dire semplicistico, identificare alcune espressioni religiose con l'intolleranza religiosa. Non è vero che tutti gli appartenenti alla religione islamica sono fondamentalisti e anticristiani: solitamente sono minoranze esigue, ma talmente forti a livello politico, economico e militare da poter realizzare qualsiasi tipo di progetto in chiave anticristiana o comunque a difesa della loro identità culturale e religiosa, asservita quasi esclusivamente a disegni politici. Pensate a ciò che è stata la guerra nella ex Yugoslavia, dove si è usato il pretesto della differenza culturale e religiosa per conseguire un progetto politico di ritorno all'indipendenza forse altrimenti irrealizzabile, a detta dei "signori della guerra" di turno.
Dall'altra parte, la criticità deve assumere anche un aspetto di autocritica, capace di un recupero storico che ci aiuti a capire meglio anche certe dinamiche del presente. Da diverse parti, in modo certamente capzioso ma comunque non privo di elementi reali, viene rinfacciato al Cristianesimo di avere avuto nel passato analoghi atteggiamenti di intolleranza religiosa: dalle Crociate ai secoli bui dell'Inquisizione, dalla conquista del Nuovo Mondo alla Controriforma, nel momento in cui la Chiesa ha avuto un peso politico non indifferente - che spesso ha trasceso i suoi compiti evangelizzatrici - si è assistito a fenomeni di intolleranza nei confronti delle diversità (non solo quella religiosa) che chiaramente danno adito a rivendicazioni che riuscire a definire illegittime e ingiustificate diviene poi impresa ardua. Frasi rivolte ai cristiani del tipo: "Cosa ha fatto la Chiesa lungo i secoli nei confronti delle altre religioni?", fanno comunque riflettere e ci obbligano appunto ad uno sguardo critico sul nostro modo di essere seguaci di Cristo.
La situazione attuale, per noi di apparente assoluta libertà, democrazia e tolleranza religiosa, in altre parti del mondo è ancora soggetta a totalitarismi e fondamentalismi che non conoscono la parola "tolleranza", e questo ci obbliga a ricercare - a partire dalla nostra realtà - meccanismi e comportamenti volti a costruire la pace sulla base innanzitutto del rispetto reciproco. Con quali modalità? Mi viene da sottolinearne alcune, parzialmente anche alla nostra portata:
* da parte di chi ha responsabilità governative, vanno creati e mantenuti (ove già esistano) rapporti bilaterali basati sulla reciprocità, che garantiscano non solo intese a livello economico e politico, ma anche il rispetto delle reciproche identità culturali e religiose. Se in uno stato non sono tolleranti nei confronti delle minoranze religiose, se non esiste il rispetto dei diritti umani fondamentali, con quello stato vanno interrotte le relazioni per quanto redditizie possano essere. Mi fa senso leggere un quotidiano che piange i cristiani trucidati in un paese con il quale a pochi giorni di distanza si celebrano accordi economici bilaterali, celebrati con enfasi dallo stesso quotidiano;
* sullo stimolo di quanto pure il Papa in questi giorni ha sottolineato, va portata avanti un'idea di economia e di benessere che sia alla base della costruzione di un mondo più giusto, e quindi con maggior etica, e quindi anche più pacifico. Non è un mistero il fatto che in diversi paesi in cui regna il fondamentalismo e l'intolleranza religiosa nei confronti dei cristiani al motivo politico si aggiunge l'identificazione (scorretta finché vogliamo) tra potere economico e cristianesimo, per cui colpire i cristiani vuol dire in realtà colpire l'economia dei paesi da cui essi provengono. Questa concezione scorretta e storicamente superata può essere eliminata anche attraverso comportamenti più accorti da parte di noi credenti nella gestione delle risorse a favore dei paesi in via di sviluppo. Atteggiamenti di totale assistenzialismo, di paternalismo irriflesso che danno "tutto a tutti" in maniera poco critica e soprattutto poco educativa (ancora molto frequenti anche nella Chiesa, lasciatemelo dire da missionario) non fanno altro che fomentare l'idea per la quale l'uomo "occidentale-bianco-cristiano" è una macchina di soldi da sfruttare, e quando si inceppa va distrutta. Per cui, un po' di accortezza su come facciamo volontariato e missione non guasterebbe affatto;
* infine - e questo lo possiamo davvero fare tutti - dobbiamo assumere ogni giorno atteggiamenti di rispetto, di dialogo, di accettazione del diverso che esigano reciprocità, che non ci facciano perdere le radici della nostra identità cristiana della quale dobbiamo sentirci fieri sempre (e non solo quando ci fa comodo), che non tollerino alcuna forma di violazione del diritto e delle leggi, ma che permettano ad ogni uomo e ogni donna di sentirsi, in casa nostra, accolto e rispettato. Non posso chiedere a una persona con cui ho difficoltà di relazioni di fare un passo verso di me senza che io faccia altrettanto: questa non è reciprocità. La pace si costruisce sulla base di tutti questi fattori, per ottenere i quali il cristiano ha anche un forte strumento a sua disposizione: è l'atteggiamento che notiamo quest'oggi nella Madre di Dio, a cui sempre è dedicata la prima giornata dell'anno. È l'atteggiamento di chi, di fronte agli avvenimenti lieti o difficili della vita, invece di agire con l'impulsività dettata dall'emozione del momento, si mette a pensare, ad analizzare, a studiare, a ricercare la via della pace, e soprattutto a pregare.
Come Maria, che "custodiva tutte queste cose meditandole nel suo cuore".