Omelia (02-01-2011) |
don Alberto Brignoli |
Incarnare la Parola Dopo aver ascoltato, in questi giorni, i suggestivi racconti del vangelo che ci hanno scaldato il cuore parlandoci di ciò che avvenne nei giorni della nascita di Gesù e durante i primissimi periodi della sua infanzia, la Liturgia della Parola di oggi continua a parlarci del mistero del Natale, ma lo fa in una forma molto particolare, più concettuale che narrativa, quasi intellettuale, direi. Il Mistero dell'Incarnazione ci viene presentato attraverso il conosciutissimo e stupendo brano con cui Giovanni dà inizio al suo Vangelo (per questo viene chiamato "Prologo"), preceduto da due letture (la prima tratta dal libro del Siracide, la seconda da una lettera di Paolo) che ci parlano della Sapienza Divina, nascosta in cielo fin dalla creazione del mondo, e rivelata agli uomini proprio attraverso la venuta del Figlio di Dio in mezzo a noi. Giovanni sembra addirittura riprendere questi temi mostrandoci che Gesù, il Figlio di Dio, non solo ci porta e ci mostra questa Sapienza Divina, ma addirittura la personifica, la rende persona, la "fa carne" - per usare una sua espressione - venendo ad abitare in mezzo a noi. Cercando di cogliere alcuni elementi che possano aiutare la nostra riflessione, ma soprattutto stimolarci ad una vita di fede più profonda, ritengo che il messaggio più importante di questa domenica (così come di tutto il tempo di Natale) sia proprio questo: l'Incarnazione di Dio, il suo farsi presente "in carne ed ossa" nella nostra storia, il suo passare dall'essere "Parola", "Verbo", all'essere "Carne", "Persona concreta", "Fatto storico". Per dirla in maniera un po' riduttiva, ma sicuramente efficace, Dio, attraverso l'Incarnazione del suo Figlio Gesù, passa "dalle Parole ai Fatti". Se guardiamo all'Antico Testamento, la presenza di Dio nella Storia del Popolo d'Israele è senz'altro una presenza significativa, fondamentale, ma pur sempre una presenza "verbale", fatta prevalentemente di "parole", di "comandi" dati all'uomo attraverso una Parola che comunque rivela tutta la sua forza: quella di Dio è una Parola creatrice ("Dio disse"...e la creazione fu, ci ricorda Genesi), è una Parola liberatrice (comanda alle acque del Mar Rosso che diano inizio all'Esodo e alla liberazione del popolo oppresso), è una Parola legislatrice (data per mezzo di Mosè sul Sinai), è una Parola ammonitrice e premonitrice (attrverso i Profeti, che ricordano al popolo si suoi doveri nei confronti di Dio). È un percorso esaltante, così come lo è tutta la Storia della Salvezza. Ma questo, a Dio non basta. E neppure all'uomo; e Dio lo sa bene. Dio è perfettamente consapevole (proprio perché è la Sapienza Assoluta) che il percorso dell'Antico Testamento, per quanto esaltante possa essere, è un percorso incompleto, perché rimane un percorso fatto di una Parola che continua ad avere la sua efficacia finché l'uomo corrisponde alla Parola che gli viene rivolta. Ma nel momento in cui l'uomo, con la sua vita, non corrisponde più all'efficacia della Parola di Dio (cosa che si verifica puntualmente, nella storia del popolo di Dio), Dio capisce che la sua potenza non si è manifestata in tutta la sua efficacia fino a quando non rende la sua Parola realtà viva, concreta, incarnata nella vita di ogni uomo. Il quale, allora, non può più accampare scuse di fronte all'efficacia della Parola di Dio. La protesta più forte dell'uomo religioso del popolo d'Israele (ma potremmo dire di ogni luogo e di ogni tempo) nei confronti di Dio è proprio quella di ritenere Dio un Essere Assoluto e Onnipotente, e quindi, proprio per questo, irraggiungibile, distante dall'uomo, capace sì di dare ordini, di disporre in un ordine perfetto le cose, di essere Signore della Vita e della Morte, ma comunque distante, lontano dai drammi concreti della vita quotidiana dell'uomo. Ricorderemo senz'altro il grido del profeta Isaia durante il tempo di Avvento appena trascorso: "Se tu squarciassi i cieli e scendessi!". Questo grido trova risposta proprio nel mistero del Natale, dell'Incarnazione del Figlio di Dio, di fronte al quale, appunto, l'uomo non può più dire a Dio "Mi sei distante, sei lontano da me", perché Dio accetta di farsi uomo per condividere con lui tutta la drammaticità ma anche la bellezza della vita quotidiana, per farne poi motivo di salvezza. Ecco allora il senso di quel testo che oggi contempliamo: "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi...e da questa pienezza noi abbiamo ricevuto una Grazia dietro l'altra". Se quindi Dio ha deciso di salvare l'uomo attraverso la condivisione della sua natura umana, senz'altro ha voluto insegnarci qualcosa per la nostra vita. Fondamentalmente, credo che abbia voluto farci comprendere che non esiste un legame tra lui e l'uomo che non passi attraverso l'Incarnazione, attraverso il suo farsi uomo come noi in tutto, anche nei limiti della nostra natura umana, fuorché nel peccato. La sua morte in croce ce lo insegna in maniera evidente. E questo ha delle conseguenze che non possono lasciare indifferente la nostra vita di fede e la nostra attività pastorale. Se, grazie a Dio (è proprio il caso di dirlo!), la nostra fede cristiana è basata sull'Incarnazione, sul farsi uomo di Dio, allora la mia vita di fede dev'essere una vita di fede profondamente incarnata nella situazione umana e nella storia nella quale sono inserito per cercare di darvi un senso. Non posso dirmi credente in Cristo, e quindi nell'Incarnazione, se vivo una vita cristiana "asettica", fatta di tante belle preghierine, formulette e giaculatorie, e che termina lì, senza rivolgere uno sguardo attento all'essere uomini oggi nel concreto quotidiano. Non posso, oggi, dirmi cristiano e disinteressarmi dei problemi di un'economia fortemente in crisi. Non posso, oggi, dirmi cristiano e rimanere indifferente e zitto di fronte a un conflitto armato e a evidenti violazioni dei diritti umani. Non posso dirmi cristiano e non fare nulla di fronte a una famiglia del mio paese in difficoltà perché senza lavoro. Non posso, oggi, dirmi cristiano ed essere capace solo di dire, al massimo, "in che mondo siamo finiti!" di fronte a giovani che muoiono per incidenti stradali causati da alcool e droga. Non posso, oggi, dirmi cristiano e disincarnarmi dalla realtà al punto di dire rassegnato "non saprei cosa fare" di fronte a una famiglia che ha un malato terminale in casa a pochi metri da casa mia... Come Chiesa non possiamo sederci sul trono delle nostre acquisite certezze teologiche senza entrare in dialogo con un mondo e un'umanità che ha fame di Dio (anche quando non lo manifesta) e di una vita giusta e dignitosa. Molti degli avversari della Chiesa la vorrebbero disincarnata, che si preoccupi delle sue cose interne e che non metta becco nella vita concreta dell'uomo contemporaneo. Ma grazie a Dio, non è così! Ben vengano allora le prese di posizione della Chiesa sui drammi e i problemi dell'umanità: dalle povertà al rispetto dei diritti umani, dal senso di Dio che si è smarrito alle questioni di etica e di bioetica, dalla famiglia all'interesse per i diritti dei cittadini, dai temi di un'economia solidale all'educazione delle giovani generazioni, alla scuola, alla salute... Se addirittura la Parola di Dio si è fatta carne, chi siamo noi per impedire che la nostra fede in Cristo passi dalle parole ai fatti, dalle letture alla storia, dalla preghiera alla vita? |