Omelia (06-01-2011) |
don Alberto Brignoli |
Dacci oggi la nostra Stella quotidiana Credo che sia la prima volta, in 43 anni di vita cristiana, e certamente nei quasi 19 di sacerdozio, che mi capita di non celebrare la Solennità dell'Epifania. Non per negligenza, intendiamoci, ma a motivo del viaggio verso il continente sudamericano, dove in questo momento mi trovo. Quando domenica sera sono partito dall'Italia, avevo appena celebrato la II Domenica di Natale, e giunto a Santiago lunedì, ho scoperto che la Chiesa cilena aveva celebrato l'Epifania proprio il giorno prima. Per cui, il 6 gennaio 2011 liturgicamente parlando per me sarà un giorno feriale del tempo di Natale, un giorno "ordinario", come tanti altri. E questo mi ha dato da pensare, non so per quale motivo, che forse anche i Magi abbiano vissuto quel giorno così, come "un giorno come tanti altri", un giorno di ordinaria amministrazione. Ho pensato che fossero astrologi, saggi osservatori delle stelle, che interpretavano i segni dei tempi e i presagi a partire dalla posizione degli astri nel cielo o da qualche particolare fenomeno celeste. E che quindi anche quel giorno, avendo visto una stella particolare nel cielo di Israele, si sono mossi per cercare di capirne meglio il significato, a loro detta legato alla famiglia reale di Giudea. Ma forse, niente di così diverso da ciò che ogni giorno scrutavano nel cielo: chissà quante altre famiglie reali avranno onorato, nel momento della nascita di un erede al trono; chissà di quante altre corti avranno varcato le soglie per offrire ai sovrani i risultati delle loro ricerche... Uomini in cammino, quindi, in costante ricerca, nomadi di una sapienza da cercare e insieme da offrire. Eppure è nell'ordinarietà delle loro celesti speculazioni quotidiane che alzando gli occhi al cielo scorgono una stella, una stella così particolare che non può che essere abbinata ad una persona di grande importanza. E così, senza pensarci più di tanto, preparano i loro omaggi e si mettono in cammino, diretti verso la casa reale più prossima alla posizione della stella. Il viaggio si rivela da presto una delusione: arrivati alla reggia, nessuno sa nulla di un erede al trono che abbia visto recentemente la luce, nemmeno il re. Il quale si agita più di ogni altro, e vuole vederci chiaro in tutta questa storia. Consulta i suoi sacerdoti e i suoi studiosi di corte, ma anche dalle profezie non emerge nulla di nuovo: qualche accenno a uno sperduto villaggio di Giudea, Betlemme, ritenuto da un profeta minore, Michea, come possibile luogo della nascita di un importante erede al trono, ma niente di più. Per cui, Erode stesso sfrutta la figura dei Magi per saziare la propria curiosità, ma soprattutto per calmare la propria ansia, e li invita a rimettersi in viaggio, incaricandoli ufficialmente di tornare da lui con notizie rassicuranti. Ed essi ripartono, ma senza nessuna certezza: finché giunge un momento in cui il loro cuore si riempie di gioia perché tornano a vedere nel cielo la stella, che li precede e indica loro il cammino da seguire. Stavolta sì, raggiungono una casa dove c'è un bimbo nato da poco: non sarà certo una reggia, ma il segno che si tratti dell'erede al trono è inequivocabile, perché da lì la stella non si muove più. Ed entrati, lo onorano come è loro abitudine, facendogli omaggi di regalità, di divinità ed insieme di umana fragilità. Poi se ne vanno, e non sarà più la stella a guidarli: essa ha terminato la sua funzione. Sarà il sogno - a Matteo piace tanto sognare - a dire loro che non è il caso di passare da Erode che, forse, intenzioni del tutto benevole nei confronti del bambino difficilmente le aveva. Tutto questo, nell'ordinarietà del quotidiano vivere, del quotidiano scrutare, del quotidiano camminare. Come il quotidiano vivere di una festa che, qui in Sudamerica come in altre parti del mondo, passa via un po' inosservata (c'è molta aria di estate, di sole, di oceano...), se non fosse per la riposizione delle statuine del presepio, che prima di essere messe a riposare fino al prossimo Natale in una scatola di scarpe, vanno portate in chiesa per essere "battezzate" (così dicono qui innocentemente i bambini, ma non solo loro). Lungi da befane, scope, calze appese al caminetto, sfilate etniche con tre cittadini extracomunitari a fare da Magi (che brutto, "usati" come mascherine... e poi chi l'ha mai detto che erano tre e che uno era nero?), cammelli prestati dai parchi zoologici e lotterie che riversano milioni di euro come fossero bruscolini, e ancora panettoni, pandori e torroni da smaltire in fretta... Dio anche oggi preferisce la quotidianità della vita per manifestarsi ad ognuno di noi. A noi, che tante volte abbiamo guardato al cielo, ma il nostro destino cieco non vi ha scorto nessun segno; a noi, che ci mettiamo in cammino comunque, alzandoci ogni mattina, verso il nostro luogo di lavoro, verso l'ufficio, la fabbrica, il negozio, la scuola, l'ambulatorio, la posta, la banca, e di certo non ci viene neppure per l'anticamera del cervello che c'è un stella sopra di noi; a noi, che andiamo senza accorgerci a turno nei vari templi del potere economico, politico, culturale, religioso, convinti di poter capire dai "grandi" qual è la strada da percorrere; a noi, che ci accorgiamo ben presto che i grandi ne sanno meno di noi, che sanno solo balbettare qualcosa e che comunque loro avendo il potere si aspettano da noi che li onoriamo e li rispettiamo, e che li informiamo di ciò che avviene lungo la strada (perché loro, del mondo fuori, non sanno nulla); a noi che finalmente alziamo lo sguardo al cielo e scopriamo che c'è ancora una stella, anche nel quotidiano, a dirci che dobbiamo andare avanti e che non è finita; a noi, che grazie a questa stella siamo ancora capaci di meravigliarci della vita, e di scoprire che in fondo non è poi così brutta, ma che bisogna ripartire da capo, bisogna tornare ad essere bambini, tornare a prostrarci e ad adorare la nostra perduta semplicità di fanciulli, e che dobbiamo avere il coraggio di non tenere per noi l'oro delle nostre ricchezze materiali e l'incenso con cui quotidianamente ci auto-esaltiamo, ma di condividerli con un'umanità nuova, fragile come noi, cosparsa di mirra come ogni mortale, ma carica di speranza perché nuova, perché diversa dal solito, perché "regale" pur senza essere nata nel palazzo... Al palazzo, non ha più senso tornare: là, le stelle difficilmente si posano per risplendere, anzi, il più delle volte quando arrivano si spengono. Il sogno di poter essere ogni giorno, in Cristo, uomini veri, re, e addirittura come Dio perché suoi figli, ci rimette in viaggio lungo un'altra strada, per far ritorno - rinnovati - alla quotidianità del nostro paese. |