Omelia (04-01-2003) |
Paolo Curtaz |
Commento Giovanni 1,35-42 Che ridere! Ve la vedete la scena: Giovanni e Andrea, discepoli del Battista, vogliono dimostrare di essere persone in gamba, mistici a tutto tondo. Vanno dietro a Gesù e chissà cosa si aspettano! Forse sperano che Gesù sorrida loro, li incoraggi, dica: "Finalmente due discepoli!" Macché: Gesù li gela con questa domanda inquietante: "Cosa volete? Cosa cercate?" E' la prima parola che dice Gesù nel vangelo di Giovanni, ed è una parola scomoda: cosa cerchiamo quando cerchiamo Dio? Cosa vogliamo da lui? Sicurezza? Consolazione? Vogliamo che esaudisca le nostre richieste? Le motivazioni della fede sono molte e non tutte corrette o sufficienti per seguire Gesù di Nazareth. Il Signore chiede di farci chiarezza: la sua non è una presenza consolatoria e facile, essere suoi discepoli non significa risolvere i problemi. Questa prima inquietante domanda di Gesù pone una distanza abissale tra l'idea di un cristianesimo facile, di un Dio risolvi-problemi e la realtà. L'idea, peraltro in gran parte giustificata, di un cristianesimo che volge lo sguardo al cielo dimenticando la terra, viene qui pesantemente contraddetta: Gesù vuole consapevolezza, adultità (virilità?), lucidità mentale assoluta. E io, cosa cerco quando seguo Gesù? Cosa voglio veramente da lui? La domanda spiazza i discepoli. Non rispondono, chiedono chiarimenti. Bello, questo! Forse in quel momento si rendono conto di non essere pronti, di non essere capaci, di cercare Gesù per qualcosa di non sufficientemente valido o nobile. Balbettano, esitano: "Rabbì, dove abiti?" Cioè: dacci maggiori informazioni, non destabilizzarci in questo modo! Un appiglio, un luogo, un posto qualunque per potere avere qualche sicurezza. La fede comodo rifugio dalla vita? Ma dove! Per loro, però, Gesù è Rabbi, maestro, sanno che può insegnar loro qualcosa. Il loro desiderio è ancora indefinito, non preciso, però hanno voglia di imparare. E questa è una condizione che Gesù reputa soddisfacente... Sì, o Signore, noi desideriamo andare a vedere dove abiti, perché la fede e esperienza, è smuoversi, è rischiare, come hanno imparato Giovanni e Andrea... |