Omelia (15-01-2003) |
Paolo Curtaz |
Commento Marco 1,29-39 Nella nostra classifica mentale delle cose più antipatiche del cristianesimo la preghiera è subito dopo l'omelia (che mantiene imperterrita il record della noiosità...). Perché? Semplicemente perché spesse volte la nostra preghiera diventa costrizione, atto di riverenza, giaculatoria distratta e frettolosa per far vedere a Dio (che bisogna pur rassicurare, d'ogni tanto!) che ci siamo. Oppure, in momenti ben più drammatici, la preghiera diventa invocazione nel pericolo o nella malattia, grido soffocato verso un Dio estremamente lontano (lontano da chi?) che cerchiamo in tutti i modi di avvicinare. No: la preghiera non è nulla di tutto questo. Dopo una giornata piena di gesti di bene (guarigioni, esorcismi) approfittando del sonno dei suoi, Gesù si ritira a pregare. Che effetto fa vedere Dio pregare! E se lui lo ha fatto, è segno che ciò che fa durante la giornata (dice e opera la salvezza) attinge forza nella prolungata preghiera notturna, nel dialogo intimo e fecondo col Padre. Già: la preghiera, momento in cui stacchiamo dal ritmo della nostra vita e ci mettiamo davanti a Dio, per portare a Lui la nostra giornata, il nostro peso, e poi accogliere nel silenzio profondo del nostro cuore, la sua risposta. Quanta poca contemplazione nella nostra società! Quanta poca attenzione all'essere profondo di ciascuno di noi! Come possiamo pretendere di incontrare la felicità se, imperterriti, navighiamo nella superficialità dei nostri impegni senza tuffarci nelle profondità del Mistero che ci abita. Certo: siamo poco abituati, poco preparati, ci fa strano. Vero tutto, ma nessuna scusa è sufficiente a farci perdere la serenità dell'incontro con Dio. Se il nostro cuore è pieno di preghiera, la nostra giornata trasuda cristianesimo, e ci porta addirittura a spalancare il nostro cuore alla condivisione e al dono di sé, pur di annunciare questa bella notizia! Se solo imparassimo a pregare! Se solo partissimo in questa avventura che ci permette di raggiungere Cristo qui e oggi. Immaginate: dieci minuti d'orologio al giorno (cioè l'un per cento di una giornata...) a metterci, occhi socchiusi, in ginocchio, nel silenzio, a parlare a Dio di noi, degli altri, di lui. E se provassimo? Insegnaci a pregare, Maestro Gesù. |