Omelia (18-01-2003) |
Paolo Curtaz |
Commento Marco 2,13-17 Levi viene chiamato e si alza subito. Talmente inatteso è l'arrivo di Gesù, talmente inaudito, che non riesce a capacitarsene. Eppure proprio lui viene chiamato, lui il peccatore, lui l'evitato, lui il temuto. Che idea aveva Matteo di sé? Non lo sappiamo, ma lo possiamo intuire dalla sua reazione che è simile ad una pentola a vapore che esplode: Matteo molla tutto e dà una festa straordinaria. Quanta rabbia, quanta sofferenza aveva Matteo nel cuore! Ed è bastata una semplice scossa perché tutto crollasse come un cartello di carte. Lo sguardo di Gesù ha aperto la diga del suo cuore. Sapete, amici? La nostra fragilità, il nostro peccato non sono sufficienti a tagliarci fuori, non bastano a scoraggiare Dio. Avete l'impressione di non essere degni? Di non essere capaci? A Dio non importa. Dio non ci ama perché siamo buoni ma amandoci ci rende buoni. Di che abbiamo paura? Di essere malati dentro? Guai se ci sentissimo a posto: non avremmo nel cuore quell'arsura che ci permette di essere continuamente alla ricerca di Dio. L'ostacolo del nostro peccato, della nostra fragilità è nulla rispetto alla straordinaria bontà di Dio. Nulla, capite? Ma il sentirsi imperdonabili, sentirsi inutili, incapaci, questo sì ci può allontanare dalla grazia, talmente ripiegati su noi stessi da non accorgerci di essere, da subito, amati. Capiamo allora la festa di Matteo. E capiamo lo scandalo dei benpensanti, allora come oggi. Questo Gesù che accoglie tutti e che di tutti riesce a far emergere la verità interiore, è scomodo, a tutt'oggi. Non vi è mai successo di criticare in cuor vostro la presenza a Messa di una persona di cui conoscete la vita non proprio evangelica? A me sì. E non mi accorgevo, in quello stesso momento, di passare dalla parte di chi si crede giusto e, tragicamente, non sente il bisogno di Dio. La chiesa, amici, è la comunità di quelli che, come Levi, hanno incontrato lo sguardo gonfio di tenerezza del Cristo e si sono lasciati riconciliare. Non è perciò la comunità dei perfetti, di quelli che non sbagliano, come alle volte alcuni (specie non credenti) vorrebbero. Non c'è nulla di più alieno al cristianesimo di una asettica perfezione. No! La chiesa è un popolo di perdonati, non di giusti! E perciò, proprio perché perdonati, la chiesa accoglie chi, nel suo cuore, riconosce di essere amato e perdonato e perciò fa festa. Tu sei venuto per i malati, non per i sani, Signore. Salvaci dalla malattia del giudizio impietoso verso i fratelli! |