Omelia (02-01-2011)
don Daniele Muraro
La figliolanza

Se c'è qualcosa che nessuno ha potuto darsi è la vita e nascendo nessuno ha scelto i suoi genitori. Per tutti venire al mondo è stato un dono e l'arrivo in famiglia ha significato l'ingresso in un legame preesistente.
San Giovanni nel suo prologo dice che i cristiani in quanto tali sono stati generati non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio. Con il termine "sangue" l'evangelista si riferisce al meccanismo biologico che non è sotto lo stretto controllo dell'uomo e che ancora in parte sfugge alla scienza, con "volere di carne" egli allude alla passione che costituisce il richiamo istintivo alla conservazione e moltiplicazione della specie, con "volere di uomo" infine indica il progetto di vita che congiunge i genitori nella volontà di procreare.
Ebbene tutto questo è presupposto, ma non è ancora sufficiente per ottenere la filiazione divina, ossia per sentirsi ed essere veramente figli di Dio. L'evangelista dice chiaramente che questo è un privilegio riservato a quelli che hanno creduto nel nome del Verbo di Dio, attraverso cui il mondo è stato fatto, ma che il mondo non ha riconosciuto.
Qui sorge una prima difficoltà per la cultura contemporanea propensa ad allargare i diritti e a ragionare su base egalitaria. In effetti venire da Dio è una caratteristica che accomuna tutti gli uomini. Per mezzo del Verbo, che è il solo Figlio in senso proprio, tutto esiste, e ogni persona umana, senza distinzione, si può fregiare del titolo di "figlio di Dio".
Ma dopo aver conosciuto Gesù Cristo a aver aderito a Lui come Salvatore cambia veramente qualcosa. La differenza sta nel modo della partecipazione alla figliolanza, perché la venuta nel mondo del Salvatore aggiunge molto allo stato di natura. Infatti se per nascita possiamo dirci creati sul modello dell'Unigenito, è solo dopo la sua incarnazione che possiamo considerarci figli di Dio per adozione.
Nel suo assetto originario l'uomo attende di essere elevato in grazia e gloria. Ed è per questi che viene adottato. Ciò che costituisce la ricchezza di una persona si chiama la sua eredità. Si dice quindi che Dio adotta gli uomini, perché per sua bontà li ammette all'eredità della sua beatitudine.
A differenza dei beni materiali poi, quelli spirituali possono essere posseduti simultaneamente da molti. Anche se nessuno può possedere una eredità di beni materiali se non succedendo a chi muore, i credenti tutti insieme ricevono intera l'eredità spirituale, senza menomazione del Padre che vive eternamente. Tale preferenza non è illusoria, ma opera una vera trasformazione interiore. "Dalla sua pienezza (di Cristo) noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia" dice sempre il Prologo.
Questo disegno d'amore Dio lo ha voluto nella storia, come dice la seconda lettura, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato, e questo è anche lo Spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di Dio per cui sempre san Paolo prega.
Il Figlio ha in comune con le creature il ricevere. Di questa filiazione divina la filiazione umana è la prima sembianza. Vivere la figliolanza da parte dell'uomo significa entrare nel mistero della paternità divina rispetto al Verbo e rispondere alle sollecitazioni della sua grazia.
Diventare adulti poi, in particolare dopo la perdita su questa terra dei propri genitori, non significa abbandonare la consapevolezza di essere figli, ma allargare la propria coscienza fino a raggiungere l'origine divina; di lì per grazia siamo introdotti nella familiarità con il Padre del Signore Gesù Cristo.
L'età moderna ha preteso di immettere l'umanità nella maggiore età della ragione, ossia di far uscire l'uomo dallo stato di tutela estranea e di abilitarlo all'uso completo delle sue facoltà di mente e volontà.
La maturità esistenziale tuttavia non può consistere nello sradicare l'uomo da Dio. L'ateismo è la negazione di quanto l'uomo ha di meglio, la sua origine spirituale e, come dice il Concilio, "la creatura senza il Creatore svanisce". C'è una bella differenza tra sentirsi figlio del Re o invece lontano parente della scimmia.
Questo è il dramma dell'umanesimo ateo, che il proposito di annientare Dio per affermare l'uomo si risolve di fatto nella degradazione dell'uomo stesso. "L'oblio di Dio rende opaca la creatura stessa" e la vita ritorna priva di quella luce che il Verbo ha portato venendo nel mondo.
Grande sapienza dunque è conoscere la propria origine illuminati dalla fede e convenirvi incoraggiati dall'amore. "Dio ha mandato il suo Figlio, affinché ricevessimo l'adozione a figli di Dio. In prova poi che voi siete figli di Dio, Dio ha mandato lo Spirito del Figlio suo nei vostri cuori, il quale grida: Abbà, Padre". Soffocare questa invocazione significa irrimediabilmente diventare meno che umani e cadere nella ribellione che porta alla rovina.
Solo nella comune paternità divina si può scoprire la reciproca fraternità umana e considerare il mondo una sola famiglia. Ma noi nel Verbo fatto uomo abbiamo ricevuto proprio questo potere, di accedere ai beni dell'eternità di Dio nel tempo e di vivere già fin d'ora nella familiarità con Lui e con il suo Figlio Gesù Cristo, riuniti nel grande popolo della sua Chiesa.