Omelia (30-01-2003) |
Paolo Curtaz |
Commento Marco 4,21-25 Accogliere il seme della Parola significa portare frutto nella misericordia, anzi è proprio la misericordia la cartina al tornasole per misurare il nostro cambiamento. Se la fede non ci porta ad incontrare nello stupore la tenerezza e la bontà di Dio che cambia il nostro modo di vedere noi stessi e gli altri, che ci serve? Gesù è attentissimo al giudizio, lo cita spesso come ostacolo gravissimo alla presenza del Regno. Il giudizio: mettersi al di sopra delle parti per giudicare l'altro. Quanti giudizi approssimativi e parziali esprimiamo! Magari con spirito evangelico... Attenti amici, attenti. Il Signore ci chiede di guardare la realtà come lui la vede: in divenire. Non si tratta certo di ignorare situazioni di oscurità e di peccato, giustificandole. No, ma di guardare a noi e agli altri con l'amore con il quale Dio ci vede. Dio ci vede riusciti, a progetto completato, lo sapevate? Perciò ci ama. Noi, invece, ci vediamo in costruzione, in divenire. Un po' come quel mio amico che, davanti ad un prato, cercava inutilmente di descrivere la sua futura casa che lui aveva benissimo in testa. Ma se siamo in divenire, e gli altri lo sono, perché ci ostiniamo a non accettare il fatto di non essere ancora completati? Perché vediamo che la nostra costruzione è fatta solo di pilastri e solette e ci lamentiamo di non avere ancora i pavimenti? Non giudicare significa giudicare con il cuore di Dio. Il seme attecchisce quando vediamo che il nostro cuore giudica con misericordia se stesso e gli altri. Alla fine del discorso della montagna Matteo dice: "Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli". Luca, che scrive dopo, si permette di correggerlo e dice: "Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro che è nei cieli". La nostra perfezione è l'amore, e null'altro. Tu sei misericordioso, Signore e noi siamo chiamati ad imitarti per essere luce per il mondo! |