Omelia (05-02-2003) |
Paolo Curtaz |
Commento Marco 6,1-6 Una doppia meraviglia contraddistingue oggi la Parola: meraviglia da parte della folla per l'improvvisa sapienza del loro ormai famoso concittadino Gesù, il figlio del bravo artigiano Giuseppe e del fatto che, pur non essendo né uno scriba né un dottore della legge, parla della Torah con autorevolezza, e la meraviglia addolorata di Gesù dell'incredulità della sua gente. Poche volte Gesù, nel Vangelo, si stupisce: quasi sempre per la fede di qualcuno o – come qui – per l'ostinata chiusura del cuore, anche di fronte all'evidenza di prodigi la cui fama hanno raggiunto la sua Nazareth. La presenza di Dio in mezzo a noi non è stata, né mai sarà, scontata o semplice; è vero: nell'essere umano esiste come una connaturale propensione al trascendente, al di più (ah, a meno che, come di questi tempi, in cui il cervello e l'interiorità vengano messi in stand-by); ma l'idea di Dio che ne scaturisce è sempre in bilico tra qualcosa di immenso e stupendo e immenso e tremendo. Gesù, diventando uomo, ci viene a svelare in maniera definitiva come è fatto Dio, chi è Dio ma non sempre ciò che Gesù dice ci è gradito, anzi... Lo vogliamo davvero un Dio così? Un Dio che potendo evitare la fatica dell'esistere, sceglie, invece, di diventare sudore, sorriso, amicizia, fatica? Lo vogliamo davvero un Dio dimesso e timido che rischia di non essere accolto, che rifiuta il prodigio che sa essere ambiguo e di difficile interpretazione? Un Dio che accetta la sfida della sconfitta sulla croce pur di dare credibilità al suo messaggio d'amore? Pensateci, prima di rispondere. A me, alle volte, verrebbe più voglia di credere in un Dio scostante ma potente, che si lascia convincere a elargire qualche miracolo, che si fa gli affari suoi e che, al limite, mi da qualche regola da rispettare per poter accedere alla fine al sorteggio del premio finale. Attenti, abitanti di Nazareth, a non lasciarci scandalizzare dall'umanità di Dio, dal suo desiderio di condividere con noi non solo la gloria finale, ma anche la fatica del vivere; non lasciamo Dio chiuso nei tabernacoli o nelle nostre devozioni, ma permettiamogli di entrare nei nostri fumosi uffici, nelle nostre piccole case riempite di problemi: è lì che Dio ha scelto di stare! Signore, siamo qui a riconoscerti profeta nella nostra Patria, a superare le nostre limitate visioni e stupirci della tua immensa lungimiranza e grandezza. |