Omelia (06-02-2003) |
Paolo Curtaz |
Commento Marco 6,7-13 Diventare "apostoli", cioè missionari, è un'esigenza assoluta del vangelo. Anzi, Marco fa intendere che la missionarietà è la verifica dell'incontro, la cartina al tornasole della veridicità del nostro incontro con il Signore. Sviluppando questo discorso la chiesa giungerà a dire, ai nostri giorni, che o la chiesa è missionaria o non è. E per missione non intendiamo soltanto la missione "ad gentes", nei paesi in cui l'annuncio del vangelo non è ancora stato portato, ma la missione nel luogo in cui viviamo, nel nostro contesto, nel nostro lavoro. Esiste un equivoco di fondo rispetto alla trasmissione della fede: che un popolo, una nazione, possano diventare cristiani e restarlo nei secoli. E' davvero così? O la fede non è piuttosto conquista personale continuamente da motivare? Non c'è forse il rischio di sedersi, di abituarsi, di restare nello 'status quo'? Incontro ancora cristiani (sempre meno, grazie a Dio!) convinti che l'Italia sia un paese cristiano. Se con ciò intendiamo un paese con radici e cultura ispirata al cristianesimo, d'accordo, ma la nostra gente è, nella maggioranza, ben lontana dal vivere il vangelo! Non sta forse qui l'esatta interpretazione del fenomeno tanto diffuso, dei figli che non seguono le orme dei parenti cristiani? Anche in mezzo a noi abbiamo delle mamme e delle nonne angustiate per i propri figli. Tranquille! Ciò che potevate dare l'avete dato e se veramente lo avete vissuto, dandolo, non resterà sterile; lasciate fare a Dio! Pensate forse che il suo braccio si sia accorciato? Portate i vostri cari nella preghiera e pensate a vivere voi il vangelo, il resto è affare di Dio. Lo dico perché molto spesso nel rapporto di fede tra genitori e figli intervengono elementi di disturbo che poco hanno a che vedere col vangelo: fragilità psicologiche, dinamiche del profondo che possono creare tensioni. Se vostro figlio non ha risolto il conflitto adolescenziale dentro di sé con la vostra immagine, state certi che probabilmente la sua fede ne verrà alterata! In certe situazioni è forse meglio star zitti e vivere al meglio la nostra interiorità senza prediche o moralismi inopportuni. Oggi, lo sapete, occorre una grande sensibilità e una grande prudenza per essere credibili, specie come cristiani. Esiste un sottile scetticismo nei confronti delle religioni 'storiché, rivelate, e perciò l'annuncio del vangelo parte svantaggiato; ma, se siamo credibili, lo Spirito può spalancare il cuore di chi ci ascolta. Quanti esempi avrei da portare! Credibili, amici, non perfetti o saccenti o, peggio del peggio, giudicanti. No: compagni di strada, testimoni. Amo perciò leggere le indicazioni che Gesù da agli apostoli (7,6-13) in questa prospettiva di autenticità e condivisione. Niente bisacce, sandali, tuniche eccetera, che significa, a mio avviso, essenzialità. Siamo apostoli, Signore, chiamati a portare la tua Parola là dove oggi vivremo, con semplicità ed autenticità, più attenti ad amare che ad imporre la nostra prospettiva delle cose... |