Omelia (18-02-2003) |
Paolo Curtaz |
Commento Marco 8,14-21 Ieri parlavamo della durezza di cuore dei farisei che mettono alla prova Gesù. E qualcuno di noi – probabilmente – in assoluta sincerità di cuore, avrà pensato di non poter essere annoverato tra coloro che mettono sempre alla sbarra Dio. Bene! Attenti però al rischio numero due, quello dei discepoli: l'incomprensione. Gesù parla loro del lievito da cui guardarsi, dell'atteggiamento cioè dei farisei che può insinuarsi anche nella primitiva comunità (ma va?) e di quello di Erode che vede in Gesù un avversario, in Dio un concorrente; e loro, gli apostoli, in maniera incredibilmente ottusa, cominciano a dissertare sulla loro merenda. Pericolo incombente, quello descritto da Gesù (e dagli apostoli che non esitano a raccontarlo nel vangelo), di chiudersi in un ragionamento piccolo, di non avere più fiato e ali per volare in alto. Succede, alle volte, nelle nostre comunità di ingrandire a dismisura i problemi piccoli e piccolissimi per non vedere invece quelli grandi e ingombranti, chiudere il recinto del piccolo gregge per paura del confronto col mondo esterno. Chiediamo davvero al Signore di renderci liberi dalle incomprensioni, di non ripiegarci su noi stessi, se egli ci chiama a capire in profondità ciò che accade a noi e alla storia, chiediamogli di scuotere e provocare le nostre comunità quando perdono mordente e profezia. Tu ci chiedi di stare attenti al lievito dei farisei, che può contagiare le nostre comunità con l'eccessiva attenzione all'esteriorità, e al lievito di Erode, che aggiunge il calcolo politico alla libertà evangelica; e noi, troppo spesso, siamo preoccupati delle questioni materiali. Abbi pietà di noi, o misericordioso! |