Omelia (25-02-2003)
Paolo Curtaz
Commento Marco 9,30-37

Quella di oggi, amici, è una delle pagine più sconcertanti dell'intero vangelo. Per calcare la mano Luca, addirittura, pone questo episodio durante l'ultima cena, per sottolineare maggiormente l'incomprensione tra Gesù e i suoi discepoli. Leggete bene, amici: Gesù si è reso conto che le cose non vanno come previsto: ha parlato di Dio, ha annunciato la buona notizia, ha guarito gli ammalati, segno dell'avanzata del Regno, ma la sua missione incontra sempre maggiori difficoltà, un'ostilità crescente, specialmente da parte dell'autorità religiosa. Mistero e dramma della libertà dell'uomo: chiamato ad accogliere la presenza di Dio, si aggroviglia intorno a pensieri oscuri e contorti. Gesù, però, ha scelto nel deserto il suo modo di essere Messia: niente trionfalismi, niente miracoli eclatanti. Sta perciò maturando l'idea di andare fino in fondo, costi quel che costi, fino alla morte, se necessario. Un rischio immenso, una scelta sconcertante: Dio sceglie di consegnarsi alla precaria fedeltà umana, corre il rischio di essere davvero e definitivamente spazzato via. Questi oscuri pensieri lo avvolgono, decide di parlarne ai suoi, gli amici che con lui hanno condiviso tre anni. Mettetevi nei panni del Signore, immaginatevi il suo stato d'animo: Gesù sente il bisogno di amicizia, una parola di conforto, un incoraggiamento. Invece... i dodici di cosa parlano? Di chi tra loro è il più grande. Amarezza aggiunta ad amarezza, sconcerto a sconforto: eccoli, dunque, i prescelti, eccoli che ancora e ancora dimostrano di non avere capito – quasi – nulla. E Gesù, grande, immenso cuore, stupefacente uomo, si mette da parte, rinuncia alla consolazione, pazienza, e ancora insegna, ancora esorta: "tra voi non sia come tra i grandi del mondo, guardate i bambini..."

Rendi il nostro cuore semplice come quello dei bambini, Signore, rendici semplici e liberi, autentici e umili, rendici servi della parola e servi gli uni degli altri, come tu sei stato servo dell'umanità, Maestro Gesù!