Omelia (09-03-2011) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Umiltà, conversione e rinnovamento Orrore, morte e distruzione ormai da tante settimane stanno interessando molte popolazioni del Nord Africa, che si danno al malcontento e alla rivoluzione per rivendicare i propri diritti ad una vita decente e dignitosa senza più soprusi, ingiustizie e sopraffazioni. E' sconcertante la tracotanza e l'efferatezza di chi reagisce con sanguinose rappresaglie, alimentando tensione, odio e violenza ulteriori anziché mettere in discussione il proprio operato e assumersi le proprie responsabilità nei confronti del popolo con opportuni rimedi di pacificazione, di giustizia e di promozione del bene comune. Non sarà mai sufficiente qualsiasi appello che proviene da più parti perché cessi l'efferatezza smisurata a cui è soggetto chi ha diritto inviolabile di protestare, ma ciò che si sarebbe opportuno richiedere in questi casi è il buon senso e la rettitudine di coscienza da parte di chi ha in mano la situazione e da parte di tutti e ciascuno, affinché non si verifichino situazioni di degenerazione generale. Occorre cioè un radicale, profondo, rinnovamento dello spirito umano, una trasformazione impuntata della nostra personale impostazione di vita, un ravvedimento personale che si orienti verso la considerazione della dignità e dei diritti degli altri. Tale ribaltamento di vedute è sempre bene accetto quando si realizzi progressivamente, tuttavia con costanza e decisione; ma non avrà mai il suo successo finché esso non sarà da noi interpretato con le categorie della conversione, cioè della risposta risoluta e attenta alla chiamata di Dio in Cristo, che noi abbiamo scelto e professato come il Salvatore. In Cristo Dio riconcilia a sé tutta l'umanità, raduna tutti i popoli dispersi in un solo uomo e realizza l'identità fra tutti superando ogni barriera e divisione e ponendo fine ad aberranti scenari di odio e di violenza. Tutto questo però a condizione che noi si volga realmente lo sguardo a Cristo e che il cuore non cessi di cercare in lui Colui che per primo si è fatto trovare. Dio ci chiama e ci convoca nel suo Figlio Gesù Cristo; noi aderiamo alla chiamata e ci incamminiamo verso di lui. Questo significa conversione e penitenza, radici profonde di ogni rinnovamento umano in vista del progresso generale. Ritornare continuamente a Cristo comporta la presa di coscienza del Suo amore nei nostri riguardi e del primato della misericordia di Dio sulle nostre debolezze, il riconoscimento dell'insufficienza dei nostri ambiti circoscritti di verità immediata e passeggera, la rinuncia alla vanità illusa di felicità passeggere e deleterie e la predisposizione a procacciare l'unione e l'intimità con lui. In parole povere si tratta di rifuggire il male con orrore per attaccarci al bene (Rm 12, 9), di "evitare il peccato perché non tramonti il sole sulla nostra ira e non diamo occasione al diavolo" (Ef 4, 26-27) e come afferma lo stesso Apostolo Paolo, di evitare la condotta perversa e amorale tipica dei pagani, per niente avvezzi ai benefici dello spirito (Ef 4, 17 - 20), vigilando sulle insidie e sulle seduzioni di quanto nel mondo abbia potere di distoglierci dall'orientamento verso Dio. Ma la condizione principale per cui possa realizzarsi fruttuosamente un tale itinerario è l'umiltà. Da che cosa inizia infatti l'ammissione delle nostre colpe e la necessità del ritorno a Dio nella comunione con il Cristo Via, Verità e Vita se non dal riconoscimento della nostra nullità, della nostra pochezza e peccaminosità? Da dove partire se non dall'ammissione del nostro nulla di imperfezioni di fronte al tutto della Perfezione assoluta che è Dio? Solo l'umiltà conduce a trovare la ragione di una vera conversione che non sia ostentazione di ipocrite prassi o manifestazioni esteriori, ma che risalti e sia espressiva della nostra volontà di elevarci verso Dio ed essere umili e dimessi è la condizione per ravvivare in noi stessi anche quella serenità interiore per la quale non vanno poste obiezioni all'amore di Dio e si rinuncia volentieri ad esaltare e preconizzare noi stessi. L'umiltà apre il sipario per il primo atto della conversione. La liturgia di oggi ce la descrive per mezzo del segno delle Ceneri cosparse sul capo di ciascuno, che attestano alla consapevolezza che noi siamo nulla perché Dio possa essere tutto in noi e perché a partire dal nostro nulla, privi di ogni peso e di ogni vano fardello, possiamo incamminarci nel nostro itinerario verso Dio. Se le Ceneri significano la nostra umiltà, anche il digiuno ne consolida il significato. Astenersi da un intero pasto secondo le necessità fisiche di ciascuno, privarsi della carne nei periodi indicati dalla nostra liturgia, realizzare altre privazioni aggiuntive secondo le nostre abitudini o le ispirazioni del momento è di ausilio al fervore interiore con cui operiamo la nostra elevazione verso il Signore e significa nell'esteriorità lo slancio di conversione con cui tendiamo alla comunione con Dio. Digiunare (com'è mia esperienza personale) è già un vantaggio per il fisico, perché liberando e purificando il corpo dai pesi in eccesso ci è di sollievo e dona serenità e leggerezza, e anche dal punto di vista spirituale la rinuncia e la mortificazione fisica sono di aiuto affinché la nostra liberazione dal vano e dal superfluo abbatta sempre più ostacoli nell'ascesi che ci conduce a Dio. Come sempre si è affermato e comprovato, il digiuno è tuttavia sterile e insignificante quando non venga associato alla preghiera e alle opere di misericordia, perché proprio la concretezza del bene e l'amore al prossimo saggiano la consistenza dell'avvenuto itinerario di conversione spirituale, rendendone testimonianza effettiva: la carità sincera è una componente stessa del digiuno e ometterla dai nostri atteggiamenti equivale a smentire la stessa rinuncia ai cibi e alle voluttà. E' quindi necessario, già nella pratica stessa della rinuncia ai cibi, che venga destinato l'equivalente in denaro a favore di chi ha bisogno e che vengano realizzate, singolarmente e nelle comunità ecclesiali di appartenenza, iniziative concrete di vera solidarietà nei confronti dei bisognosi, tutto ovviamente secondo le nostre possibilità obiettive e tuttavia senza retoriche e negligenze su questo importante aspetto della vita cristiana in generale e della Quaresima in modo speciale. Risvegliando in noi la volontà di essere umili e ponendo la stessa umiltà come condizione iniziale di ogni proposito spirituale, il Mercoledì delle Ceneri ci è di sprone ad optare per il rinnovamento di noi stessi in vista della trasformazione del mondo secondo la volontà universale di Dio che in Cristo ci chiama tutti a nuova vita. Le tappe della Quaresima, con tutti gli strumenti di grazia contenuti in questo tempo liturgico non possono non darci fiducia che il bene, anche se non a portata di mano, è comunque obiettivo possibile. |