Omelia (28-02-2003)
Paolo Curtaz
Commento Marco 10,1-12

Mai come oggi l'amore di coppia è stato al centro dell'umanità nelle sue gioie e nelle sue contraddizioni. Nelle sue gioie perché il fallire di grandi sistemi, di ideologie e la generale insicurezza ci fa sempre più rifugiare in questo sentimento che da sicurezza, in questo piccolo mondo interiore così ricco e così sognante che sentiamo essere la cosa più importante per la vita. Ma, accanto a questo, la contraddizione dell'uomo emerge con inaudita violenza: l'amore finisce col diventare un mito irraggiungibile che si scontra con la pesantezza della realtà. Ecco allora la nascita di una insoddisfazione continua, di una fatica di amare che, alimentata da una follia mass-mediologica, finisce col far credere che l'amore esiste, è fondamentale, è straordinario, ma, di fatto è irraggiungibile. Capisco allora che entrare in questo dominio diventa davvero spinoso: esperienza totalizzante, l'amore diventa, in caso di fallimento, una sconfitta bruciante. In punta di piedi, allora, nella consapevolezza di entrare in un mondo di luci e di ombre, vi do una buona notizia: Gesù ha un progetto anche sull'amore. E, occorre pur dirlo, essendo Lui ad averlo inventato, può anche darsi che sia la voce più autorevole su tale argomento. La ascoltiamo, cercando di astrarre dalle nostre esperienze personali? Bene: Dio ci ha creato parte di un Tutto da ritrovare. Un Tutto che è formato da una compagnia, una persona, con la quale condividere, certo, i sentimenti e le passioni, ma soprattutto la vita. Ecco allora che l'innamoramento lascia spazio all'amore, che è scelta entusiasta e faticosa, tutta orientata dalla consapevolezza che il mio partner non è l'orizzonte ultimo della mia vita, ma che, assieme, verso questo Orizzonte camminiamo insieme. Amore che è dono, dono di sé reale, non appesantito dal possesso morboso, non involgarito dall'egoismo, ma stupore continuo del dire: "Grazie perché esisti". Non solo: questa energia profonda svela nel mio compagno le sue qualità, gli permette di valorizzarle, nel rispetto reale e nella consapevolezza che nulla mi è dovuto, che nulla è abitudine, che nulla è delusione. Amare diventa, allora, in questa tensione verso il Tutto, nel continuo confronto con Dio, un dire: "Grazie perché mi hai fatto esistere". Questa riflessione, però, dev'essere concretizzata nella quotidianità del gesto: nel dire "ti voglio bene" anche dopo vent'anni di matrimonio, nell'usare nel proprio vocabolario della quotidianità parole come "Grazie", "Faccio io", "Scusa". La quotidianità diventa il fermento nel quale, come ci si promette davanti a Dio, io ti "rispetto e ti onoro", cioè metto te al centro del mio cammino.
Gesù, scoraggiato davanti alla piccineria degli uomini, davanti ai singoli casi, davanti ai fallimenti e agli errori, davanti alla tentazione di ridurre l'amore a sensazione, davanti alle soluzioni affrettate, dice: "all'inizio non era così". Non è così nel Progetto di Dio, l'amore non è quel sentimento nevrotico e melenso al quale spesse volte lo riduciamo, ma è pienezza e lenta consapevolezza. E ditemi voi se avete mai sentito dire niente di più bello e di più vero su tutto ciò.