Omelia (06-03-2003) |
Paolo Curtaz |
Commento Luca 9,22-25 Quaresima è un cammino di essenzialità, di riscoperta della propria vocazione, di luce e di verità, quindi, capiamoci bene, cominciate col togliere quella faccia sofferta di chi ha deciso di togliere i cioccolatini e spieghiamoci. Se una rinuncia faremo, se un gesto concreto di solidarietà compieremo è per arrivare a Pasqua vivificati, non mortificati. Questo lo dico – non me ne vogliamo i devoti – perché conosco troppi cristiani che confondono l'autolesionismo con la penitenza. Gesù chiede di prendere la croce e di seguirlo. E tutti a pensare a quella fatica, a quella disgrazia che devo sopportare, a quella situazione insanabile. Portare la croce è diventato addirittura sinonimo di sopportazione e pazienza. Bello, mistico, utilissimo per predicare i quaresimali. Peccato che Gesù non intendesse questo! Portare la croce, cioè: perdere la faccia. La croce era l'umiliazione più ignominiosa che si potesse anche solo immaginare, sia per i cittadini romani, sia per gli ebrei. Rinnegare se stessi e portare la croce significa: amami fino al punto che non ti importa di perdere la faccia per me, seguimi fino a scoprire che valgo più di ogni altra cosa. Così Gesù ci invita in Quaresima a riscoprire che egli è tutto, l'assoluto, la pienezza, l'amore, ogni desiderio e ogni anelito colmato. Ci sfida a scoprire che in un mondo in cui tutti parlano di auto-realizzazione l'unica cosa che conta è quella di perdere la propria vita per amore, donarla questa vita, come saprà fare il Maestro Gesù. Abbiamo iniziato il tempo di Quaresima, Signore, per riscoprire quanto ci sei prezioso e per donare la vita a te e ai fratelli, come tu ci hai insegnato e hai fatto, Maestro buono. |