Omelia (15-03-2003)
Paolo Curtaz
Commento Matteo 5,43-48

Siamo chiamati, amici, a superare la giustizia degli scribi e dei farisei. Nel discorso della montagna, Gesù oggi ci chiede di amare i nostri nemici, di pregare per loro. Una richiesta perlomeno sconcertante, che nasce da un interrogativo provocatorio che pone Gesù: cosa facciamo di straordinario se ci mettiamo ad amare le persone che ci amano? Lo fanno tutti! Il cristiano è chiamato a superare questa logica del dare e del ricevere, questa logica della spontaneità, della sensazione, per approdare alla logica ben più radicale del vangelo. Amare i nemici, no, non è semplice. Ricordo la preghiera di un'anziana signora in una favelas del Brasile, a cui gli squadroni della morte avevano torturato e ucciso due figli perché sindacalisti; diceva: "Signore, fammi vendetta, converti il cuore di coloro che hanno assassinato i miei figli". Anche se contraria alla logica di questo mondo, la logica del Regno di Dio ci porta ad imitare il padre buono nella sua straordinarietà, sapendo che alle volte il gesto profetico diventa un grimaldello per sfondare la durezza del cuore, come il gesto di don Tito Brandsma, domenicano olandese ucciso con un'iniezione di acido in un campo di sterminio che – mentre tendeva il braccio all'infermiera – trovò la forza di dirle: "lei dev'essere molto triste". Sarà proprio questa donna, sconvolta dalla frase di quel frate, a testimoniare alla sua causa di beatificazione dicendo: "Tutti i prigionieri mi insultavano, si disperavano, quell'uomo, invece, mi stava amando, si preoccupava per me, una sconosciuta, una carnefice, mentre lo stavo uccidendo". Logica paradossale, logica del vangelo, provare per credere.

Ti chiediamo oggi, Signore, di essere perfetti nella misericordia, capaci di amare e di pregare per chi ci odia e chi augura il male. Perché tu sei perfetto nell'amore, Dio benedetto dei secoli!