Omelia (21-04-2011)
padre Gian Franco Scarpitta
L'Amore è protagonista assoluto

L'Amore è il procedimento divino della redenzione. Dio ci salva perché il suo amore nei nostri confronti è smisurato e supera le nostre stesse aspettative. Questo abbiamo notato domenica scorsa mentre, agitando palme e rametti di ulivo, contemplavamo l'ingresso di Gesù, affermato Signore e Messia, a Gerusalemme. All'ingresso della città che ospita il sontuoso tempio di Sion, l'amore assume due connotazioni l'esultanza e l'umiliazione. Gesù infatti entra fra le acclamazioni e il tripudio della gente che lo esalta come si conviene, ma l'ovazione festosa si trasforma nell'angoscia e nel dolore passionale per la triste prospettiva, inevitabile, della croce. Nell'uno e nell'altro caso, il Figlio di Dio comunica l'amore del Padre e l'amore di cui tutti facciamo esperienza: è infatti nella donazione di se stesso sulla croce che Dio attua la sua opera salvifica nei nostri confronti, e ciò testimonia lo spasimo di Dio per l'uomo peccatore.
Se la passione e la croce sono emblema dell'autodonazione di Dio, l'evento dell'Ultima Cena ne è il preambolo e l'anticipazione, perché già in questo intimo momento consumato con gli apostoli Gesù raggiunge la profondità e la consistenza concreta dell'Amore.
Come scrive Benedetto XVI nel suo recentissimo libro su Gesù di Nazaret, nello spezzare il pane e nel distribuirlo ai suoi discepoli, Gesù compie un atto allusivo al dono e alla comunione. Questo gesto indica un'attitudine all'apertura, alla condivisione e alla solidarietà; ma quello che più è incisivo è il fatto che spezzando il pane Gesù dona se stesso senza riserve. Aggiunge il papa che tale donazione è istitutiva dell'Eucarestia, che per l'appunto viene definita nel libro degli Atti con i termini dello "spezzare il pane", quasi a sottolineare la valenza del suo significato comunionale.
Eucarestia etimologicamente vuol dire "rendere grazie" come Gesù fa prima di spezzare il pane, secondo le abitudini locali di ogni capofamiglia; ma il Sacramento istituito da Cristo realizza la sua presenza reale e sostanziale di donazione. Egli nel pane eucaristico che è il Suo Corpo e nel vino che diventa il suo Sangue fa dono di se stesso ai fratelli realizzando la comunione con essi e allo stesso tempo favorendo la mutua donazione fra di loro.
Nelle parole "Questo è il mio Corpo" - che nella semantica orientale significano "Questo sono io" - esprime di voler presenziare della stessa presenza salvifica da uomo di Galilea e di donare la propria vita inesorabilmente e a piene mani, anticipando quello che sarà il suo sacrificio patibolare. Gesù dona la vita nell'essere "pane di vita", alimento di vita eterna. Nelle parole "Questo è il mio Sangue che la nuova alleanza" l'atto di donazione si concretizza ulteriormente, perché Gesù realizza l'immolazione di espiazione sostituendosi alle vittime animali dell'Antico Testamento. Egli nel Sangue realizza il riscatto definitivo dell'uomo dalla servile condizione di peccato; donando se stesso come vittima immolata adempie la volontà del Padre di recuperare l'uomo elevandolo alla sua stessa dignità e liberandolo dai vincoli del male e dal suo autolesionismo. In più, il Sangue espia le pene che noi avremmo dovuto scontare a motivo dei nostri misfatti, schiudendoci la porta della vita eterna.
Tutto questo sottende ancora una volta che la salvezza assume connotati di Amore e non di coercizione o di soggiogazione servile.
Anche se Giovanni è l'unico apostolo evangelista che non menziona l'istituzione dell'Eucarestia, potremmo concludere per inciso che egli alluda anche ad Essa quando afferma che Gesù "avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine". Giovanni è tuttavia unico anche nel descriverci un aspetto del tutto singolare ed esaltante di questo Amore divino redentivo che si associa all'Eucarestia e ne spiega la portata di amore attraverso un gesto concreto e illuminante: la lavanda dei piedi.
Si tratta di un gesto insolito anche ai nostri giorni. Sebbene infatti Gesù lo abbia compiuto oltre duemila anni or sono, sebbene vi siano stati innumerevoli commenti di Teologia e di Spiritualità su di esso e nonostante tutti quanti condividiamo si tratti di un atto d'amore assoluto, ebbene tuttora lo ritentiamo impensabile e improponibile. Difficilmente si troverebbe infatti una persona, per quanto radicata nell'amore al prossimo, disposta a chinarsi ai piedi dei suoi amici per lavarglieli. Nessuno, per quanto generoso possa essere si disporrebbe ancora oggi ad un simile atto di umiltà e resteremmo tutti inorriditi se qualcuno vi si prestasse.
Eppure proprio in questa caratteristica di umiliazione Gesù rende esplicite le caratteristiche dell'amore privo di poesia e di sentimentalismi, scevro da doppiezze e millanterie: esso consiste nel servizio disinteressato all'insegna dell'umiltà e della sottomissione agli altri pronta e sollecita e nell'accoglienza delle umiliazioni e delle frustrazioni, quando queste servano ad accrescere lo spirito di donazione e di altruismo.
L'amore è concretezza di sacrificio, disimpegno verso gli altri anche nelle situazioni che comunemente definiamo assurde. Esso valica la mediocrità e le limitatezze alle quali siamo abituati e si configura come atteggiamento eroico e ultramondano, e prevede il rischio che perdiamo anche la nostra attendibilità sociale.
Il caso della lavanda dei piedi ci ragguaglia infatti che l'amore cristiano, proprio perché controcorrente e illogico a fronte delle aspettative del nostro vissuto, prevede insinuazioni, pregiudizi, sberleffi e derisioni da parte di terzi. Perfino il rischio dell'isolamento e del deprezzamento degli altri. Perché riguarda la scelta di quanto comunemente viene rifiutato, la decisione di atteggiamenti per i quali gli altri ci definiscono pazzi o irrazionali.
E appunto Gesù ha prediletto questa dimensione per donare se stesso totalmente all'uomo: quella che comunemente noi definiamo pazzia. La stoltezza di un Dio che non ama convincere gli uomini a forza di miracoli o di argomenti;; di un Dio chei non ama imporre la propria volontà costringendo tutti al suo cospetto e non ama manifestare la sua autorità incontrastata. Semplicemente di un Dio che ama. E che dona se stesso in quella che è la "pazzia" della croce.
In questa logica dell'amore e del servizio disinteressato egli chiede che anche noi ci configuriamo imparando quella che è il Comandamento più grande e riassuntivo di tutta la Legge e di tutta la Scrittura: "come ho fatto io, così fate anche voi." "Amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amati".