Omelia (28-03-2003)
Paolo Curtaz
Commento Marco 12,28-34

Non è strana la domanda dello scriba: ai dieci comandamenti che troviamo nel decalogo del Deuteronomio, la tradizione rabbinica aveva aggiunti poco meno di seicento fittissime e precisissime leggi e osservanze che il pio ebreo era tenuto ad osservare. Mi chiedo già soltanto come facessero a ricordarsele! Leggi da osservare, ma, ricordiamocelo, nella logica del Vangelo, nella logica della Rivelazione: legge come progetto per essere felici, come sentiero che ci porta alla piena realizzazione. Come a dire: cos'è che rende felice l'uomo? Cosa, tra le molte proposte che intasano la nostra prospettiva di vita, è veramente la chiave di volta del nostro esistere? La risposta, conosciuta, è tutto meno che scontata: ama. Ama e scopriti amato, ama e lasciati avvolgere da un amore che ha radici profonde, che trova la sua sorgente in Dio, ama e fa della tua vita un dono d'amore. Ecco il primo dei comandamenti, ecco ciò che veramente può liberare il grido di gioia del nostro "io" più profondo. E la risposta di Gesù raggiunge, straordinariamente, le aspirazioni più vere e profonde dell'uomo. Ma a questa risposta va aggiunta una riflessione. Potremmo dire: in cosa consiste l'amore? Se l'amore è la dimensione più vera della vita, perché facciamo così fatica a viverlo? Perché possiamo amare male o con ambiguità o con possesso, così da tradurre una melodia in un accento stridulo che ci ferisce profondamente? Che il Signore ci accordi di amare come lui ci ha amati: col cuore e con la volontà, desiderando il bene dell'altro, senza possesso né egoismo. Mettiamoci alla scuola dell'amore del Maestro Gesù.

L'amore è il cuore del tuo Vangelo, Signore. L'amore è il nostro desiderio più recondito, il nostro sogno segreto. Insegnaci ad amare, Signore, insegnaci a lasciarci amare, e sarà gioia piena nei secoli dei secoli.