Omelia (22-04-2011)
Gaetano Salvati
Libertà d'amore

In questo giorno santo, noi cristiani facciamo memoria del sacrificio supremo di Cristo. Nella narrazione del Passio di san Giovanni, possiamo contemplare "l'uomo dei dolori che ben conosce il patire" (Is 53,3). Il discepolo dà testimonianza dell'amore che non conosce paura, che si addossa le iniquità del mondo (v. 12), e giustifica l'uomo peccatore.
Gesù si consegna al Padre (Sal 30): in Lui si rifugia e confida. Abbandonarsi in Dio significa obbedire fino in fondo alla Sua volontà. Nell'arco della sua esistenza, il Maestro si è sempre consegnato al Padre: per questo, Egli è il sommo sacerdote fedele, che offrendo il sacrificio perfetto a Dio, redime l'umanità. Obbedendo a Cristo, noi, suoi discepoli, professiamo la fede, e siamo salvati (Eb 4,14; 5,9).
L'evangelista racconta le tante consegne di Gesù. Infatti, partecipando attentamente all'ascolto del Vangelo, notiamo che è il Salvatore Colui il quale si consegna ai carnefici. È il Figlio di Dio, nella sua infinita libertà, che si dona ai peccatori. Non è Caifa o Anna, o i Romani che catturano Gesù. È l'Agnello che decide di lasciarsi immolare per amore dell'uomo. É la libertà dell'amore, la libertà di chi sceglie il dono di sé, di chi si rimette nel Padre e vive la sua libertà come liberazione: libero da sé per il Padre e per l'umanità. È la libertà di chi rischia tutto per amore, di chi trova la propria vita perdendola: è il coraggio di chi dona la vita.
Per amore, in pieno possesso della sua libertà, cosciente del passo che compie, Gesù va incontro alla morte. Si lascia consegnare di mano in mano. È stato tradito e abbandonato dai suoi: Giuda, uno degli Apostoli, lo consegna agli avversari (Gv 18,3); con odio, i rappresentanti della Legge lo consegnano a Pilato (18,28). Questi, pur riconoscendo la sua innocenza (19,4), dopo averlo fatto flaggellare, lo consegna "perché fosse crocifisso" (19,16). Di fronte a questa trama di tradimento, di odio e di paura, Gesù non cessa di rendere testimonianza alla verità: il susseguirsi delle "consegne" non reggerebbe se non ci fosse la consegna di se stesso, offerta libera di sé al Padre per gli uomini. La storia della passione è allora il supremo consumarsi dello zelo di Gesù al Padre per amore dell'uomo; è la storia del Figlio incarnato, dello spogliamento da sé per darsi al Padre e per condurci con sé nella sua vita.
La croce rivela, nel nostro tempo, l'infinito dono del Figlio al Padre: Egli consegna lo Spirito (19,30). Gesù aveva vissuto tutta la vita nella comunione col Padre. Sulla croce la comunione sembra lontana, interrotta. La croce diviene l'eco del dolore umano, dello scontro con la sofferenza. Il Figlio, che per amore dell'uomo è divenuto carne di peccato, porta in sé, sulla croce, il dolore del sentirsi abbandonato, la sofferenza di ogni uomo: perché il Padre non parla? Perché tace dinnanzi al dolore, alle ingiustizie?
Il Figlio muore, distante dal Padre, e lo Spirito è consegnato dal Figlio al Padre nel momento della morte (19,30). La redenzione è compiuta. Ma sarà la luce di Pasqua a illuminare la morte di Gesù e a dare risposta a tutte le domande altrimenti restate nelle tenebre e nell'oblio.
Adoriamo il nostro Salvatore, morto per salvarci. Meditiamo l'amore infinito di Dio, vivente in mezzo a noi. Lasciamoci penetrare dalla forza della croce: solo così riusciremo a contemplare il sacrificio di Gesù. Amen.