Omelia (21-04-2011) |
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COMMENTO ALLE LETTURE a cura di don Nazzareno Marconi PRIMA LETTURA Questo testo costituisce un sintetico rituale della celebrazione della pasqua ebraica. Una festa che era nata in ambiente nomadico, forse per festeggiare con la nascita degli agnelli la ripresa del ciclo della vita del gregge, e quindi carica di contenuti di speranza, di fiducia in Dio, di inizio di una nuova vita. La sua coincidenza temporale con gli eventi dell'Esodo dall'Egitto portò Israele a reinterpretarne il significato, caratterizzandola ancora di più come festa della fede in Dio, festa del passaggio dalla morte alla vita, tanto da diffondere un'etimologia polare che leggeva il termine pasqua come "passaggio". Questa storia aprirà a Gesù la possibilità, nell'ultima cena pasquale con i suoi, di una nuova reinterpretazione della festa come il suo "passaggio" dalla vita terrena alla vita della gloria. SECONDA LETTURA Paolo, dando norme per il corretto svolgimento delle assemblee comunitarie parla anche della "Cena del Signore". In questo breve brano emergono tre tratti caratteristici dell'eucarestia, il tema della tradizione, il fatto dell'ultima cena, il suo aspetto escatologico. L'eucarestia giunge a noi non da una decisione umana, ma da una trasmissione fedele, di generazione in generazione del comando di Gesù. Un comando che ricollega ad un evento, un fatto concreto e reale che proprio per la sua verità e concretezza salva: la passione di Gesù. Questo evento attua la sua potenza di salvezza dal calvario alla fine dei tempi, quando il corpo glorioso di Cristo ci verrà di nuovo incontro, non più velato dalle specie eucaristiche. VANGELO La descrizione dell'ultima cena di Gesù fatta da Giovanni, non fa riferimento all'istituzione dell'eucaristia narrandola, ma piuttosto mostrandone simbolicamente il significato attraverso il racconto della lavanda dei piedi. E' questa un'operazione tipicamente Giovannea, che stacca risolutamente l'ultima cena dal suo passato di cena pasquale ebraica, per proiettarla verso il nuovo significato della pasqua cristiana. Non c'è più un ricordo volto verso il passato, di un memoriale degli eventi dell'Esodo, ma una proiezione verso il futuro, in un memoriale anticipato della morte in croce e della resurrezione. Nelle parole dell'Istituzione riportate dai sinottici Gesù annuncia che il suo corpo e sangue sono donati per i discepoli e per il mondo. Questa attitudine di dono totale di sé, che nella passione e morte si rivelerà nella sua pienezza, in Giovanni Gesù la esplicita con il gesto della lavanda dei piedi. Compiendo l'atto di lavare i piedi ai suoi, Gesù ha dato in sé il segno del suo amore supremo che deve fungere da modello per i discepoli. La celebrazione dell'eucaristia e l'esercizio che in essa si compie del sacerdozio ministeriale sarebbe soltanto ritualismo se non fosse nutrito dalla carità fraterna. Qui è il vero centro dell'amore cristiano: essere simili, conformi a Gesù nell'amore fraterno. Il sacerdozio ministeriale è garantito quanto alla validità delle sue azioni sacramentali: l'eucaristia celebrata dal sacerdote validamente ordinato è valida, perché questa validità consiste nell'agire di Dio che si serve del ministro umano. Però la pienezza di significato e di efficacia della celebrazione passa anche per la piena e generosa collaborazione umana, sia della comunità celebrante che del presbitero presidente. Don Tonino Bello in un suo libro giustamente famoso, ricordava che nella celebrazione eucaristica si intrecciano simbolicamente due abiti liturgici: la stola ed il grembiule. Dal versante umano, accanto alla contemplazione dell'agire divino nel sacramento, si pone un agire umano nella linea della partecipazione alla carità di Cristo, alla dinamica del suo dono totale di sé agli altri. Così che lo scopo, la realtà ultima del sacramento consiste nella carità, nel mettersi a servizio del fratello per costruire l'unità fraterna dell'intera umanità. |