Omelia (22-04-2011)
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Commento su Giovanni 18,1- 19,42

COMMENTO ALLE LETTURE

Premessa
Qualche anno fa mi sono avvicinata alla spiritualità del Sangue di Cristo, propagata nella Chiesa da s.Gaspare del Bufalo, fondatore dalla Congregazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue; tuttora mi sento particolarmente vicina a questo carisma. Mi è capitato negli anni di parlarne con amici cattolici di varia provenienza ma tutti molto impegnati nella Chiesa, e quando si parlava di questa mia particolare spiritualità, immancabilmente mi facevano notare come in parte questo tipo di spiritualità nella realtà odierna può sembrare desueta, poco moderna, ottocentesca, avulsa alla realtà quotidiana. Sono molti giorni che rifletto su che cosa condividere con voi, nell'occasione di questo Venerdì Santo, in questo spazio, che mi viene offerto da vari anni, per scrivere le mie riflessioni in alcune occasioni relative ad alcuni brani della Parola. Il Venerdì Santo è un giorno particolare nel nostro vissuto di cristiani e grande mi è sembrata la responsabilità di scrivere in questa occasione. Come ogni volta che inizio a pensare su quello che scriverò, ho preparato un "brogliaccio" con delle idee, che mi vengono confuse, a getto, nella mente, per poi cercare di capire come voglio sviluppare il pensiero e di conseguenza scrivere. Ed in questo caso avevo scritto pagine e pagine di pensieri preparatori alla riflessione da proporre. Ben dodici pagine manoscritte di idee. Mi è sembrato infatti che tanti, troppi spunti diversi di riflessione mi offrisse il Venerdì Santo. Pensavo che potevo partire dai segni liturgici particolari di questa giornata, per esempio il fatto che nelle chiese non si suonano le campane né si accendono le candele se non al momento di dare la comunione, il fatto che l'altare viene spogliato. O riconsiderare i vari capoversi che la Preghiera Universale, particolarmente solenne, che è stata recentemente modificata dal Pontefice, e che affida a Dio tutti i popoli e tutte le fedi religiose. O meditare la bellezza (che per un credente è così) del rito dell'adorazione della Croce. O soffermarmi sulla particolarità di una comunione col Corpo di Cristo, consacrato e adorato la sera precedente, il Giovedì Santo. Oppure, in alternativa, avrei potuto parlare del significato della giornata, incastonata nel Triduo Pasquale con una sua specificità e centralità tutta sua, particolare proprio per il significato particolare del memoriale che è al tempo stesso attualità. Per esempio vi avrei proposto forse di meditare con me queste parole che possono essere parte integrante dei riti introduttivi:
"Quasi al termine del primo giorno del triduo pasquale, stiamo per iniziare la solenne azione di memoria della morte di Cristo che proprio in un venerdì della primavera dell'anno 30 fu ucciso a Gerusalemme e spirò in quest'ora, dopo una dolorosa agonia. Non siamo riuniti per celebrare un anniversario nostalgico: il Signore ucciso è già il risorto vittorioso della morte, non è prigioniero di uno dei miliardi di sepolcri della terra."
O avrei anche potuto tentare di commentare i brani della Parola che la liturgia ci propone in questo giorno ovvero sia il Quarto Canto del Servo del profeta Isaia (Isaia 52, 13-53-12), o il brano tratto dalla lettera agli Ebrei, precisamente del capitolo quarto e quinto: Ebrei 4, 14-16 e 5, 7-9. Oppure avrei potuto esaminare il brano del Vangelo nel suo complesso, quella narrazione della Passione secondo San Giovanni che la liturgia propone ogni anno per il Venerdì Santo (Giovanni 18,1-19,42).
Poi è capitato che nel prepararmi personalmente a vivere questa Pasqua stavo rileggendo in parallelo sia il Vangelo di Giovanni sia un commentario di Ernesto Balducci al Vangelo medesimo, ed ho letto queste magnifiche parole scritte da Balducci (che certo non era tradizionalista, ed è stato uno straordinario esempio di prete del novecento) relative all'effusione di acqua e sangue dal costato di Gesù :"L'umanità è l'acqua, la nostra acqua, povera acqua insipida che non ci dà ebbrezze, che non basta nemmeno alla nostra sete. Ma poi c'è il anche il sangue quel sangue divino: e quel sangue e quell'acqua che formano insieme la Chiesa eterna, umana e divina insieme " e prosegue "E quando noi vogliamo rintracciare le vie della salvezza, ricordiamoci sì dell'acqua, ricordiamoci della bellezza, della virtù. Ma soprattutto dobbiamo avere sete del sangue perché è il sangue che ci salva (..) E' quel sangue che dà la bellezza e splendore, come una veste rossa, a tutta la Chiesa e a ciascuna anima. In quel sangue che esce dal cuore del Signore c'è il mistero della nostra redenzione Quando guardiamo il Suo Cuore, noi guardiamo quel sangue per cui siamo stati redenti".
E poi è anche capitato che, andando in chiesa un venerdì insieme ad una mia cara amica a pregare un po' insieme, mi sono trovata seduta, accanto alla mia amica che pregava, sul banco della chiesa ad osservare con calma ed attenzione il Crocifisso della mia parrocchia. Per una volta ho guardato con cura ed attenzione questo Crocifisso guardato tante volte, ma mai osservato nei minimi particolari. Si trova nella navata centrale della chiesa, che è molto grande. E si erge, sulla base di un mosaico d'oro non troppo lucente ed è di ampie dimensioni.
Cristo ha la faccia delineata, almeno per come la vedo io, con tratti non nitidissimi. Invece si vedono bene lo sfondo grigio del crocifisso, il corpo livido, le braccia grandi, a me sembrano lunghissime, forse volutamente sproporzionate rispetto al resto del corpo ( forse simbolicamente ad abbracciare tutta l'umanità) .E sopratutto il sangue dal costato, che esce con tanti rivoli sulle gambe, sui piedi, spandendosi poi in gocce che vanno a finire in una ciotola concava ( o forse è un catino? O potrebbe essere con un po' di fantasia anche un calice) con sotto schizzi di acqua, almeno nel mio interpretare, visto che l'artista mischia il rosso del sangue con schizzi di celeste. Questi stessi colori, rosso e celeste compongono anche la corona di spine. Gli schizzi di sangue ed acqua sono incuneati proprio sopra l'altare, come a segnare una continuità fra cielo e terra. Uscendo di chiesa ho chiesto alla mia amica, che è sempre più esperta di me, cosa significava secondo lei la corona di spine rossa e celeste.. Ho detto "Per me sono Sangue ed Acqua e per te?"Mi Ha risposto che lei sapeva che erano questo ma anche simbolo della regalità ed umanità di Gesù
Ho narrato questi due episodi (le parole di Balducci e la descrizione del crocifisso) per spiegare come quando mi sono seduta davanti al computer per iniziare questa mia riflessione ho deciso di assecondare quello che mi dice il mio cuore.

Ho capito che in questo Venerdì Santo voglio riflettere con voi solo su due versetti del Vangelo proposto oggi: "Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldato gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua" (Giovanni 19, 33-34)".
Quindi a questo punto del racconto evangelico (versetti da 31 a 37), Gesù è morto, e tutto si è compiuto. Rileggiamo i versetti da 19,33 in poi:
Era il giorno della Parascève e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato - era infatti un giorno solenne quel sabato -, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all'uno e all'altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: «Non gli sarà spezzato alcun osso». E un altro passo della Scrittura dice ancora: "Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto".
Cito tutti i versetti perché vorrei che ripensaste con me, come alla citazione di due passi della Scrittura corrisponda poi anche da parte dell'evangelista una testimonianza diretta (Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate).
Questo passaggio è fondamentale perché Giovanni da testimonianza diretta dell'inizio di una nuova fase della storia fra Dio e gli uomini. Ed è proprio così, è proprio con l'effusione del Sangue che nasce la Nuova Alleanza.
Analizzando meglio queste righe citate, rispettivamente i riferimenti alla Scrittura su "Non gli sarà spezzato alcun osso", sono in Esodo 12, 10 ma anche 12, 46 ma anche al libro dei Numeri 9.12; per quanto riguarda "Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto" il riferimento è il libro di Zaccaria 12,10.
Mediante queste citazioni è evidente che l'evangelista vuole indicare che in Gesù si sono compiute tutte le profezie. Ma l'assunzione di responsabilità nella testimonianza di Giovanni che dice, ve lo ripeto: "Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate", è testimonianza diretta, in prima persona.
Con queste parole l'Evangelista ci fa notare che c'è un prima ed un dopo: nella Vecchia Alleanza, già espressa dalla Scrittura, il rapporto tra uomo e Dio ha un valore ora diverso: è sancito dalla Croce e dall'effusione del Sangue.
La Nuova Alleanza nasce con Gesù, che mediante la sua morte di croce e la sua resurrezione adempie al progetto divino.
Nel Vangelo giovanneo che ha un'impostazione "a spirale", tutto porta a questo punto culminante: la Passione e la Pasqua di Risurrezione.
Non mi sembra inutile notare che Gesù va verso la Passione, che prevede, che conosce perfettamente con la sua natura divina, ma vi entra e la subisce con la nostra natura umana, l'accetta come il Figlio di Dio ma la vive nella vera sofferenza umana. Egli aveva preannunciato quando nessuno dei suoi discepoli poteva ancora capirlo: "Io quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me" (Gv 12,32), e va verso il suo destino per obbedienza al Padre ed amore per gli uomini.
Quando avviene il colpo di lancia Gesù è già morto. Letteralmente dice il testo al versetto:
E, chinato il capo, consegnò lo spirito.
Il verbo consegnare sottolinea che sulla croce Gesù non solo esala lo spirito, cioè la sua vita, perché il suo cuore smette di battere, ma morendo consegna quanto c'è di più intimo in Lui: lo Spirito. Questo stesso Spirito viene consegnato, perché venga effuso su tutta la Chiesa, una effusione che comincia dalla croce e culminerà a Pentecoste.
"Ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco".
E' stato per lunghi secoli motivo di riflessione teologica il perché di questo colpire un uomo morto ed il significato del colpo al costato.
Delle riflessioni lette due mi hanno particolarmente interessato e ve le propongo.
Sant'Ambrogio di Milano ha scritto le seguenti parole:
"Mi domando perché non sia stato trafitto prima della morte (cf. Gv 19,34) ma lo troviamo dopo la morte: forse per insegnarci che la sua fine fu spontanea, più che inevitabile e perché impariamo l'ordine misterioso per cui i sacramenti dell'altare non precedono il battesimo, ma prima viene il battesimo, indi la bevanda... Dopo la morte il sangue si raggela nei nostri corpo, mentre da quel suo corpo certo incorrotto ma esanime, sgorgava la vita di tutti noi; ne uscì sangue ed acqua: questa per lavare, quello per redimere. Beviamo quindi il nostro riscatto, affinché, bevendo, veniamo redenti".
Ed un' interpretazione, che mi piace, proposta recentemente da Silvano Fausti (nel bel "Una comunità legge il Vangelo di Giovanni, edizioni EDB, 2004) per cui: "il Corpo di Gesù (...) è il vero santuario (..). L'apertura del fianco del Crocifisso corrisponde allo squarciarsi del velo del santuario ricordato negli altri Vangeli: abolendo la separazione stabilisce comunione fra Dio e uomo".
Sangue ed acqua ("e subito ne uscì sangue e acqua"). Mi limiterò a condividere alcune riflessioni e pensieri, su questo tema che tanto ha impegnato i teologi. Nella prima Lettera di Giovanni troviamo le seguenti parole:
E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio? Questi è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo; non con acqua soltanto, ma con l'acqua e con il sangue. Ed è lo Spirito che rende testimonianza, perché lo Spirito è la verità. Poiché tre sono quelli che rendono testimonianza: lo Spirito, l'acqua e il sangue, e questi tre sono concordi (1Giovanni 5,6-8).
Quindi tre componenti che avanzano di pari passo: sangue, acqua e Spirito che si manifesterà nella Pentecoste. Il corpo di ognuno di noi è composto dai primi due elementi, che sono simbolo di vita.
Noi, abitualmente, non vediamo il sangue che scorre in noi, non sappiamo mentre viviamo quanta acqua compone il nostro fisico ed anche se lo sappiamo non incide sul nostro essere vivi, ciò che conta è che questi elementi sono fondamentali della nostra esistenza.
Il fatto che dalla ferita del costato del Signore sgorgano sangue ed acqua insieme, diventano simboli della vita donata. O meglio, il Sangue è la vita donata, l'acqua è simbolo della vita oltre la morte che Gesù consegna ai suoi discepoli di tutti i tempi tramite il dono del suo Spirito.
Nella scena giovannea della lanciata al costato di Gesù l'acqua richiama il dono dello Spirito, effuso sulla Chiesa raffigurata in Maria e nel discepolo amato. Ed in un secondo momento nell'ottica dei Padri e soprattutto di Sant'Agostino è anche simbolo dei sacramenti con cui la Chiesa, proprio nella potenza dello Spirito, porterà al mondo l'annuncio della buona novella.
L'acqua è quell'acqua promessa alla Samaritana in Giovanni 4. Gesù infatti dice: "chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l'acqua che io gli darò diventerà una sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna".
Quanto al sangue fondamentale per la comprensione del suo significato è il famoso passo della Lettera agli Ebrei: "non con sangue di capri e vitelli, ma col proprio sangue entrò una volta per sempre nel santuario, procurandoci così una redenzione eterna. Infatti, se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca che si sparge su quelli che sono contaminati, li santificano purificandoli con la carne, quanto più il Sangue di Cristo, che con uno spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte, per servire il Dio vivente?" (Ebrei 9, 12-14). Con Gesù cambia il concetto di sacrificio non più quello proposto da Mosè per la Pasqua ebraica di agnelli (Esodo 12, 5-6 e 7, 21-22), ma il sacrificio dell'Agnello. La coppa della benedizione, la coppa della nuova alleanza, è il nuovo patto che nasce col Sangue di Gesù Cristo. Egli sceglie di essere l'Agnello Immolato e immacolato, per la redenzione di coloro che in Lui credono, sperano e che con Lui camminano verso il Regno; ma non solo per chi cammina con lui, ma per tutti gli uomini: il suo sacrificio apre la porta della redenzione ad ogni essere umano.
Questo è molto bello da pensare. Un Dio per tutti, veramente l'Emmanuele, un Dio con noi.
Ma, come notavo con l'"incipit" di questa mia riflessione, spesso tutto questo è molto lontano dalla sensibilità del nostro cattolicesimo moderno. In effetti bisogna intendersi sui concetti in maniera chiara, la redenzione esiste, se si ammette che esiste il peccato. Questo concetto lo troviamo scritto a chiare lettere nella Prima Lettera di Giovanni 1,7-10:
Se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù, il Figlio suo, ci purifica da ogni peccati. 8Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. 9Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto tanto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. 10Se diciamo di non avere peccato, facciamo di lui un bugiardo e la sua parola non è in noi.
Ovviamente chi è ateo non ha nessun motivo per pensare in termini di peccato, al massimo ha da riferirsi alla coscienza ed al suo senso etico. In altre religioni, per esempio quella ebraica, esiste il concetto di peccato ma diversa ne è la soluzione ed il modo di renderne conto a Dio.
Nella nostra religione il peccato già cancellato dal mondo dal sacrificio di Gesù, può essere tolto dalla nostra vita mediante il sacramento della riconciliazione. Questo è un dono che il Signore ci ha lasciato dalla sua croce. Il potersi riconciliare con Dio dovrebbe e potrebbe essere una grazia del Signore. Però non sempre viene vissuto così. In un mondo sempre più relativista il concetto di peccato e di colpa è scomodo anche per molti cattolici praticanti.
Intanto riconoscere il peccato in se stessi è avere l'umiltà di capire/sapere/ammettere che si è sbagliato. Quest' ammissione di colpevolezza non solo chiede una capacità di introspezione ma esige la volontà di cambiamento. Esige una fase di umiliazione che non è una ricerca psicologica del proprio "io", è un ammettere una colpa verso Dio, avendo la volontà di ricominciare un cammino nuovo. Il problema diventa il non cadere nella tentazione di pensare "il peccato, in fondo, che cos'è?" Nella nostra epoca e nelle nostre sensibilità, tutto ha sempre una giustificazione. La colpa è sempre fuori da noi, il peccato spesso degli altri, anacronistico e un po' ingombrante. In quest'ottica anche il significato dell'espiazione di Cristo, e conseguentemente della nostra, perde il suo significato profondo. Il sangue di Cristo può diventare quasi imbarazzante, la croce ingombrante.
E' più carina una visione della religione meno cupa, che ci fa fratelli, che ci rende caritatevoli e compassionevoli e carini gli uni con gli altri, che rileva la gioia pasquale, dimenticando in parte la croce. Ma la Croce è il punto culminante dell'amore di Dio per noi.
Ha scritto Dietrich Boneheffer: "la crocifissione di Gesù Cristo è la prova più convincente che l'amore di Dio è ugualmente vicino e ugualmente lontano in tutti i tempi. Dio ha amato tutto il mondo per questo Dio muore".
In questo Venerdì Santo, consci che la realtà umana (e quella del peccato) è sempre la stessa, e che la modernità non ci salva dalle nostre tante, troppe debolezze, inginocchiamoci ai piedi della Croce ed adoriamo con tutto il nostro cuore e la nostra mente Gesù dal cui costato è sgorgato il Sangue e l'Acqua che ci salvano.
A Colui che era, che è e che viene, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli. Amen