Omelia (21-04-2011)
don Roberto Seregni
Le mani di Gesù e i piedi dei discepoli

Mi immagino la faccia dei dodici discepoli, le occhiate sbigottite, l'imbarazzo.
Il Rabbì gli aveva abituati allo stupore, non si può certo dire che la convivenza con Gesù fosse priva di colpi di scena o di gesti spiazzanti, ma quello che stava per accadere andava ben oltre la loro fantasia.
Qualcuno, forse, se lo stava seriamente chiedendo: "Che sia davvero impazzito?".
Sì, almeno questo l'avevano capito.
Gesù è un pazzo, è un folle.
Strano scherzo dell'amore.

Giovanni introduce la scena della lavanda dei piedi con una annotazione che anticipa e prepara tutta la passione e morte di Gesù: "Sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine" (Gv 13,1).
Quest'ultimo versetto non va inteso solamente in senso cronologico, cioè fino alla fine della vita; ma soprattutto in senso qualitativo: Gesù ama in modo definivo, radicale e totale. Proprio per questo la lavanda dei piedi non ha solo un significato esemplare, ma anche rivelativo.
Tutto il senso della vita di Gesù e tutta la profondità della sua morte sono anticipati e racchiusi nel gesto della lavanda dei piedi. Qui si svela il volto del Messia, la sua grandezza divina fatta di servizio, di umiltà, di abbassamento e di amore.
Gesù non solo vuole dare un esempio da imitare ai suoi discepoli, non solo mostra la sua umiltà e la sua disponibilità al servizio come qualcosa che dovrà caratterizzare anche la vita dei dodici, ma vuole svelarci fino a dove può arrivare l'amore. Il Suo.

Durante la cena Gesù lascia tutti senza fiato. I discepoli lo seguono con lo sguardo, ma non riescono a dire nemmeno una parola.
Gesù si alza da tavola, si spoglia dei suoi vestiti, si allaccia ai fianchi un grembiule e prendendo un secchio con dell'acqua si mette a lavare i piedi dei suoi discepoli.
Uno per uno. Senza fretta. Li lava e poi li asciuga con il grembiule che si è annodato in vita.
Dopo essersi chinato sui piedoni dei suoi discepoli, dopo aver convinto Pietro a lasciarsi lavare, Gesù si riveste e si risiede con i suoi. Silenzio. Imbarazzo.

Gesù non prende tra le mani la testa dei discepoli con tutti i loro sogni, gli ideali, i propositi, i desideri.
Il Figlio di Dio si mette in ginocchio davanti alla ciurma scompaginata dei suoi amici e prende tra le sue mani i loro piedi, cioè il contatto con la terra, le fragilità, le debolezze, le povertà.
I piedi sono l'equilibrio, il cammino e reggono tutto il peso del corpo.
I piedi dicono verso dove stiamo andando e verso chi stiamo camminando.
I piedi possono fare radici, sprofondare nell' immobilità e gonfiarsi di egoismi.

Questa sera, anche i nostri piedi, sono nelle mani di Gesù.
Così come sono, senza prelavaggi.
Il Rabbì di Nazareth ci spoglia di tutte le nostre maschere e di tutte le nostre corazze. Davanti a Lui possiamo essere quello che siamo, non dobbiamo vestire altri panni o entrare nel ruolo. Davanti a Gesù possiamo davvero svestirci di tutti i nostri travestimenti. Lui conosce il nostro cuore, sente vibrare le nostre passioni e nostri dolori, conosce la nostra sete di verità e le povertà quotidiane del nostro vivere.
Di nuovo in ginocchio, il grembiule ai fianchi, chinato, giù, sui piedi. I nostri, questa sera.
Non alza la testa sopra la caviglia, non fa differenze tra i nemici e i nemici, tra i fedeli e i traditori. I piedi del discepolo amato e i piedi di Giuda sono passati nelle Sue mani senza distinzioni.
Questo è il mandato che il Maestro ci lascia, questo è il volto dell'amore che la comunità cristiana deve incarnare.
Le nostre comunità si muniscano di acqua, di catini e di grembiuli per dare mani e passione all'annuncio del Vangelo.
Anche noi in ginocchio, giù, senza mai alzare la testa sopra la caviglia per non distinguere gli amici dai nemici.
Il tintinnio dell'acqua risuonerà per il vagabondo come per industriale, per l'ateo come per il monaco, per il bravo papà come per il carcerato, per gli sposi fedeli come per i separati, per l'amico sincero come per chi da mesi non saluta più.
Lo faremo senza far troppo rumore, in silenzio, come ha fatto Gesù quella sera.
Lo faremo con passione e con umiltà.
Nelle nostre orecchie risuoneranno ancora le Sue parole e sui nostri piedi sentiremo ancora la stretta delle mani del Rabbi di Nazareth.

don Roberto Seregni