Omelia (03-04-2003) |
Paolo Curtaz |
Commento Giovanni 5,31-47 Un lungo vangelo, quello di oggi, che ci segnala lo scorrere del tempo di quaresima e l'avvicinamento del tempo pasquale. Giovanni concepisce il suo vangelo come un lungo processo tra luce e tenebre e, nell'ennesima discussione di oggi, Gesù afferma due scomode verità. La prima è che l'esperienza di Israele porta verso di lui, che davvero egli è il compimento delle attese e delle promesse ad Israele. Come cristiani siamo chiamati a conoscere l'esperienza di Israele, a rileggerne la storia e le profezie come preparazione alla venuta del Maestro. I cristiani conoscono poco e male l'Antico Testamento e ancora peggio la fede e la costanza dei nostri fratelli maggiori, gli ebrei, cui dobbiamo la Scrittura e il Signore Gesù, ebreo. La seconda verità ci è ancora più scomoda: Gesù dice che non può venire riconosciuto da coloro che prendono gloria gli uni dagli altri. Ah, che dura verità, questa! Se sono tutto coinvolto e assorbito dalla mia esteriorità e da ciò che pensa la gente di me, difficilmente riuscirò ad essere sufficientemente libero per scoprire la presenza di Dio. Se sono più compiaciuto della domanda che ho posto e che denota la mia intelligenza, che della risposta che mi conduce alla verità tutta intera, difficilmente riuscirò a fare spazio a Dio. Animo, fratelli, cerchiamo l'unico che dona la gloria, lasciamo perdere la fragile gloria degli uomini! Rendici umili, Signore, cioè autentici, per potere accogliere la tua Parola di vita e credere che sei il sigillo del Padre. |