Omelia (15-04-2003) |
Paolo Curtaz |
Commento Giovanni 13,21-33.36-3 E' notte: nel cuore di Giuda è buio fitto, la luce non riesce a scalfire la sua fragilità, la sua paura, il suo calcolo. E' notte e tutto appare distorto, diverso, cambiato, difficile. Anche Pietro presume della sua fede. Giura, promette, rassicura... povero Pietro, ancora deve essere masticato. Ancora deve fare l'esperienza bruciante del suo fallimento per convertire il suo cuore e cambiare e gioire e garantire nella fede i suoi fratelli. Questa pagina, amici, è la pagina della pochezza dell'uomo e della grandezza di Dio, della nostra piccola fede che viene spazzata via davanti agli eventi che ci turbano e ci spaventano. Giovanni, il discepolo che Gesù ama, si china sul petto dell'amato Maestro per sapere di chi sta parlando e ne coglie il battito gonfio di passione d'amore. Dunque è questa la misura dell'amore, fino a questo punto si è lasciato coinvolgere, fino a questa deriva arriverà la sua dedizione all'umanità. Silenzio, amici, silenzio e mettiamoci in ginocchio davanti a tanto amore, e chiediamo perdono per noi e per Giuda e per Pietro e per tutte quelle (troppe) volte che non capiamo, che non vediamo, che non cogliamo la misura dell'amore di Dio. Quella cena, quell'ultima cena, è il memoriale che celebriamo distrattamente nelle nostre Chiese, ogni domenica, stanco rito consumato in fretta, senza cuore, senza passione, senza stupore. E ancora Dio rischia e si consegna all'indifferenza degli uomini. Dal demone che ci fa credere di essere imperdonabili, salvaci, Signore! |