Omelia (22-03-2009) |
Monastero Domenicano Matris Domini |
Commento su Giovanni 3,14-21 Lectio Contesto Ci troviamo al capitolo terzo del vangelo di Giovanni, nella seconda parte dell'incontro con Nicodemo; qui l'evangelista, dopo il colloquio di Gesù con quest'ultimo, che rimane sospeso, presenta un monologo che è come una sintesi del mistero della salvezza. Il testo presenta elementi comuni o simili a quelli del prologo giovanneo (la luce, il rifiuto di credere, la partecipazione alla vita divina). In particolare in questo testo si mette l'accento sulla scelta degli uomini di credere o no al Figlio di Dio incarnato e innalzato. La pericope si divide in tre parti: vv. 14-15 con l'accostamento Gesù / serpente innalzato da Mosé; v.16-18 in cui si presenta l'azione di Dio che per il suo grande amore manda il Figlio per salvare il mondo, e il tema della fede che da la vita, la vita eterna, anticipato al v. 15, e vv.19-21 dove si parla del giudizio (in vista della salvezza) che avviene in base alle opere. Possiamo aggiungere che le letture proposte per questa IV domenica sono accomunate dal tema della misericordia di Dio (2Cr 36,14-23; Ef 2,4-10) Il monologo proposto da Giovanni ci presenta il ruolo del Figlio, Gesù: egli manifesta ciò che muove Dio (il suo amore assoluto) e l'importanza decisiva della scelta di ciascuno (ciò che ci muove), la nostra responsabilità. 14 (Gesù disse a Nicodemo): "E come Mosé innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, Per comprendere il v. 14 bisognerebbe collegarlo a quello precedente dove Giovanni ci informa che Il Figlio dell'uomo è disceso dal cielo e dunque egli è il "luogo" in cui avviene la rivelazione di Dio. Venendo da Dio, il Figlio ne possiede l'autorità ed essendosi fatto uomo può essere compreso. Il v. 14 annuncia, nello stile utilizzato anche dai sinottici per annunciare la morte e resurrezione di Gesù, con il verbo bisogna (dei), afferma che il Figlio dell'uomo deve essere innalzato (hypsothenai). Il verbo per la comunità primitiva equivale a glorificato (doxasthenai) o esaltato (secondo il testo di Is 52,13). Per l'evangelista Giovanni la glorificazione di Gesù non è successiva alla morte in croce, ma inizia con essa. E' questo il contributo giovanneo alla Cristologia del N.T.: la croce porta già in sé la gloria della resurrezione e quella finale, escatologica. L'elevazione del Figlio dell'uomo sulla croce simboleggia (in senso forte) l'elevazione nella gloria (cfr. Gv8,28; 12,32) anticipando nel presente della vicenda di Gesù l'evento escatologico (X. Léon-Dufour). In Giovanni il triplice annuncia dell'innalzamento del Figlio dell'uomo sembra corrispondere ai tre annunci della passione nei sinottici. Nel nostro testo la croce è il segno della salvezza, come un tempo il serpente innalzato da Mosé (episodio in Nm 21; cfr. Sap 16,7); i Padri della chiesa indicarono spesso in Gesù il significato (antitipo) del serpente innalzato che libera dalla morte. 15 affinché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Il v. 15 pone una condizione per avere la vita, ossia il credere, che, come sarà evidente dal seguito, significa credere nel Figlio di Dio, che è poi il Figlio innalzato sulla croce. Come gli Israeliti dovevano guardare il serpente di bronzo per essere salvi, così ora si deve guardare/credere in Gesù per avere la vita. 16 Dio, infatti, ha così amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna. L'evangelista ora presenta l'origine del disegno di salvezza, ossia l'amore di Dio. I vv. 16-18 sono strettamente legati: nei primi due c'è la motivazione e la finalità del dono o invio del Figlio da parte del Padre (sono costruiti in modo parallelo), mentre il v. 18 riprenderà il tema della fede in modo alternativo ai precedenti. Figlio unigenito ha un riferimento a Gn 22, ad Abrano ed Isacco, figlio unico e diletto. L'affermazione Dio ama il mondo è unica, tipica della prima parte del quarto vangelo (dal cap. 13 avremo l'amore del Padre per i discepoli, vedi Gv 13,1.34; 15,9.10.12; 17,23); all'origine del piano di salvezza e del ruolo del Figlio sta Dio e il suo amore per il mondo. Questo termine che in Giovanni ha due significati, indica nel nostro testo o tutta l'umanità (altrove per esempio 7,7; 14,17.27-30; 16,8.11.33è invece riferito a quanti si oppongono alla luce divina) che ha bisogno di essere salvato. Dio dona (didomi) il Figlio; l'affermazione non si riferisce solo alla morte in croce (per cui è utilizzato il verbo consegnare, paradidomi, vedi sinottici e alcuni passi giovannei come 6,64-71; 12,4), ma a tutta la missione del Figlio nel mondo. In questo modo appare chiarante che Gesù è colui che rivela il Padre e mette in grado l'umanità di comunicare con Dio. Il dono di Dio ha come scopo dichiarato la vita eterna per tutti, che possederanno quanti credono nel Figlio. E' interessante notare che nel v. 16 (e poi v.18) il greco dice verso (eis autòn) di lui, che sottolinea il movimento del credente, a differenza del v. 15 (en autòn) in lui. 17 Perché Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Giovanni ora ripresenta il tema del v. precedente in modo negativo e parla dell'invio (ha mandato) del Figlio per la salvezza: Dio vuole che tutta l'umanità partecipi della sua stessa vita. Il verbo giudicare ha il senso di condanna in questi versetti. In Gv 12,47 ritroviamo l'affermazione sulle labbra di Gesù: "Non sono venuto per giudicare il mondo, ma per salvare il mondo", al contrario in Gv 5,22 afferma che il Padre: "non giudica alcuno" perché "ha rimesso interamente il giudizio al Figlio". Le affermazioni non sono in contraddizione in quanto il giudizio di cui si parla non è l'esercizio di un potere che Gesù attua sull'uomo, che resterebbe un oggetto passivo. L'Inviato del padre al contrario è una presenza che provoca necessariamente una presa di posizione da parte dell'uomo. E' da questa scelta che dipende il giudizio, la krisis: incontrare Colui che rivela il Padre offre la partecipazione alla sua stessa vita, è il punto finale dell'Alleanza. 18 Chi crede in lui non è giudicato: ma chi non crede è già stato giudicato, poiché non ha creduto nel nome del Figlio unigenito di Dio. Ed ecco nel v. 18 lo sviluppo ulteriore del tema del giudizio (verbo krinein) collegato alla fede nel Figlio unigenito di Dio. Credere in Gesù significa avere ora la vita, non credere al contrario è scegliere la morte definitiva. Vediamo qui un richiamo a Dt 30,15-19 (cfr. Sal 119,10; Pro 6,23) dove era la fedeltà alla Legge la via attraverso cui l'umanità poteva giungere alla vita. Mentre il tema del giudizio nella bibbia in genere è collegato agli ultimi tempi, in Giovanni abbiamo un anticipazione all'oggi Anche di fronte a Gesù la decisione è personale: si tratta di credere all'amore che egli rivela, l'unica opera richiesta per avere la vita è la fede nel Figlio (cfr. Gv 6,29). Dio dona la vita attraverso il Figlio, chi non aderisce a lui con la fede si autoesclude dalla vita. 19 Ora, il giudizio è questo, che la luce è venuta nel mondo, e gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce; perché le loro opere erano malvagie. Negli ultimi tre versetti della pericope l'evangelista si sofferma sulla realtà di questo giudizio e sul fatto che gli uomini sembrano preferire le tenebre alla luce; il riferimento è al prologo (Gv 1,9-12; vedi anche 8,12 e 12,35 dove Gesù si definisce "la luce"); ma appare un elemento nuovo, relativo alle opere (érga). Cosa sono queste opere? Siamo semplicemente su di un piano morale, del comportamento? Sembrerebbe di noi, infatti nella Bibbia mai la condotta dell'uomo è una condizione previa alla fede, ma se mai la conseguenza di essa (vedi per N.T. Rm 3,27s; Gal 2,16; 3,2.5.10-12; Ef 2,4-10 la seconda lettura di questa domenica). 20 Chiunque, infatti, fa il male, odia la luce e non viene presso la luce, affinché le sue opere non siano smascherate; 21 ma chi fa la verità viene presso la luce, perché sia manifesto che le sue opere sono state compiute in Dio". In effetti nel v. 20 le opere malvagie sembrano essere un atteggiamento negativo di fronte alla rivelazione di Dio, ma stranamente sono opposte alla verità e non ad opere buone. Per capire cosa intende Giovanni per opere possiamo leggere un testo giovanneo in cui il termine è abbinato alla fede: Gv 6,28-29: "Che cosa dobbiamo fare per operare le opere di Dio?" domandano i giudei e Gesù risponde: "L'opera di Dio è che crediate in Colui che egli ha mandato". La decisione di fede è l'opera per eccellenza che Dio si aspetta dall'uomo, l'opera è la scelta positiva o negativa che il singolo fa di fronte alla rivelazione offerta dal Figlio di Dio. Così, secondo il parere dell'esegeta X. Léon-Dufour, in questi versetti Giovanni si riferisce alla scelta religiosa personale (indicata dal termine opere) che è l'atteggiamento assunto di fronte alla rivelazione fatta ad Israele, alla parola di Dio dell'Antica Alleanza. Chi la rifiuta non può neppure ricevere l'ulteriore rivelazione del Figlio di Dio, Gesù. (vedi Gv 8,39.56 circa le opere di Abramo) Naturalmente i giudei sono i primi interessati, ma il testo non esclude tutti gli altri popoli: la luce del Logos, ci ha ricordato il prologo, ha raggiunto tutti. Così in conclusione, rifiutare il Figlio dell'uomo che ci porta la rivelazione escatologica, o credere in Lui, significa mettere in luce il rifiuto o l'adesione già presenti di fronte alla Scrittura veterotestamentaria o alla rivelazione presente nella creazione. Fare la verità qui significa lasciarsi attirare dalla parola che Dio ci rivolge nella Scrittura e nella creazione. Rifiutare la luce che è Gesù, sembra dire Giovanni, manifesta un rifiuto anteriore; ma il giudizio ora è definitivo essendo definitiva la rivelazione del Figlio. L'uomo, invitato fin dalla sua creazione a vivere nella luce, raggiunge il suo compimento quando si apre alla fede nel nome del Figlio unico di Dio ed è generato dallo Spirito (cfr. il colloquio con Nicodemo). Per la meditazione 1) Confrontare i testi giovannei sul Figlio dell'uomo che è innalzato e gli annunci della passione nei sinottici: come è presentata la morte di Gesù? 2) Il giudizio escatologico si gioca nell'adesione di fede a Gesù, Figlio di Dio: cosa comporta per la nostra vita quotidiana credere in Lui? Come cambia le nostre scelte? 3) Fare la verità è restare nella luce, lasciarsi attira da Dio: il nostro cammino quaresimale è in questa linea? Preghiamo Salmo Responsoriale (dal Salmo 136) Il ricordo di te, Signore, è la nostra gioia. Lungo i fiumi di Babilonia, là sedevamo e piangevamo ricordandoci di Sion. Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre. Perché là ci chiedevano parole di canto coloro che ci avevano deportato, allegre canzoni, i nostri oppressori: «Cantateci canti di Sion!». Come cantare i canti del Signore in terra straniera? Se mi dimentico di te, Gerusalemme, si dimentichi di me la mia destra. Mi si attacchi la lingua al palato se lascio cadere il tuo ricordo, se non innalzo Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia. Colletta O Padre, che per mezzo del tuo Figlio operi mirabilmente la nostra redenzione, concedi al popolo cristiano di affrettarsi con fede viva e generoso impegno verso la Pasqua ormai vicina. Per il nostro Signore... Oppure: (orazione proprio della IV domenica di Quaresima anno B) Dio buono e fedele, che mai ti stanchi di richiamare gli erranti a vera conversione e nel tuo Figlio innalzato sulla croce ci guarisci dai morsi del maligno, donaci la ricchezza della tua grazia, perché rinnovati nello spirito possiamo corrispondere al tuo eterno e sconfinato amore. Per il nostro Signore Gesù Cristo... |