Omelia (26-04-2003) |
Paolo Curtaz |
Commento Marco 16,9-15 Marco, a differenza degli altri evangelisti, non si dilunga sui racconti della resurrezione, né li approfondisce. Anzi, alcuni studiosi sostengono che la pagina che abbiamo ascoltato sia stata aggiunta a posteriori, quasi per colmare una mancanza. E sentiamo, in queste parole, lo schema della sintesi, quasi del riassunto. Probabilmente il vangelo di Marco finiva prima, all'annuncio dell'angelo alle donne che – annota Marco – tornarono a casa piene di paura e senza dire nulla. E' come se Marco, e dietro di lui Pietro, ci ammonissero: non servono ulteriori prodigi, né illuminati discorsi: il credere alla resurrezione è e resta evento personale, scelta di fede, schieramento di cuore. E' così, amici, fin dall'inizio della Chiesa i detrattori del cristianesimo hanno negato la resurrezione di Gesù, proprio intuendo che lì, nella resurrezione, si trova il cuore dell'annuncio cristiano. Se Gesù non è risorto la nostra fede è vana, ci ammonisce san Paolo, e noi siamo dei grandi illusi e dei creduloni. Ma se la Parola è giunta fino a noi, se ciascuno può dire di avere avuto il cuore toccato dal di dentro, è proprio perché Gesù è risorto e di questo annuncio, ora, siamo noi i portatori. Tu sei vivo in mezzo a noi, Signore, e siamo chiamati a portare il tuo vangelo fino agli estremi confini del mondo. A te onore e gloria, Signore Gesù vivente nei secoli! |