Omelia (02-05-2003) |
Paolo Curtaz |
Commento Matteo 11,16-19 Ha davvero tanto impressionato il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, se tutti gli evangelisti ne parlano in abbondanza e se Giovanni, come vedremo, lo usa per introdurre uno dei più importanti discorsi di Gesù, quello dell'eucarestia. Voglio, del racconto di Giovanni, sottolineare un particolare che sfugge agli altri evangelisti. Tutti parlano della sfiducia degli apostoli, della loro ironia rispetto all'assurda richiesta di Gesù di sfamare la folla venuta ad ascoltarlo. Ma solo Giovanni ci dice che i famosi pochi pani e pochi pesci che serviranno a sfamare tutti, sono stati donati da un ragazzo. Da ridere: la merenda di un ragazzo sfamerà una folla sterminata, avanzandone addirittura (e non era certo gente cui mancava la fame arretrata!). Sì, Dio ama la freschezza degli adolescenti: la passione per la chitarra del piccolo Davide, pastore che diventerà il più grande dei re, l'attitudine riflessiva della piccola Maria di Nazareth, che accetta di portare in grembo l'infinito, e qui l'inconsciente ingenuità di un ragazzo che mastica poco di matematica e di economia (al contrario del serioso Filippo). Anche noi, davanti all'immensità della fame che ci troviamo davanti, fame di pace, di giustizia, di dialogo, di verità, sentiamo le nostre gambe vacillare e vorremmo che fosse Dio ad occuparsene. Macché, sta a noi, ci dice il vangelo. Anche se la sproporzione è immensa, sta a noi metterci in gioco per primi, affinché Dio possa salvare l'umanità... Ecco i nostri pani e i nostri pesci, Signore. Ti servano, oggi, per sfamare il nostro cuore e il cuore di chi incontreremo. |