Omelia (05-05-2003) |
Paolo Curtaz |
Commento Giovanni 6,22-29 Gesù ha sfamato la folla. Il miracolo più eclatante, quindi, si è compiuto e i risultati sono ambigui, come di fronte ad ogni miracolo. Taluni capiscono, ma i più vedono il risultato immediato: hanno cibo gratis! Gesù fugge il clamore e l'inevitabile pubblicità e l'ambiguità che ne deriva, ma viene raggiunto. Chi non voterebbe un governo che invece di chiedere tasse offrisse dei soldi? Gesù – scocciato – richiama la folla all'essenziale: andate al di là dei segni, guardate il significato di ciò che è accaduto. La domanda, amici, è inquietante: perché credo in Dio? Per il cibo che mi ha saziato? Per ciò che mi ha donato e che ancora mi aspetto da lui? Può essere una ragione, ma è una ragione fragile e ambigua. Può accadere, specialmente se abbiamo vissuto una forte esperienza spirituale in un movimento o durante un pellegrinaggio, di uscirne esaltati, salvo poi restare scottati dalla ricaduta nel quotidiano. Non cerchiamo Dio per le gioie che ci dona, ma per lui. Le gioie sono importanti, ma l'essenziale è e resta l'incontro col Rabbì, con la sua dolcezza e il suo amore. Gesù è molto prudente nell'usare miracoli, sa che il gesto eclatante suscita entusiasmo ma anche incostanza. Crediamo in colui che Dio ha mandato e andiamo a cercarlo, perché Gesù non è nelle piazze o nei talk-show, ma timido e discreto sui bordi del lago... Fa' che non ti seguiamo solo per ciò che ci doni, Signore, ma per ciò che sei, Dio benedetto nei secoli! |