Omelia (07-05-2003) |
Paolo Curtaz |
Commento Giovanni 6,35-40 Dio è l'unico che può sfamare il nostro desiderio profondo, la nostra profonda radice di bene e di bello. Attenti, amici, a non consumare la nostra vita dietro a inutili sirene che ci promettono la felicità: carriera, denaro, piaceri, tutte cose che imitano la felicità, che inebriano, ma che lasciano aridamente intatto il nostro cuore. Sappiamo usarne con discernimento. Oggi Gesù svela una cosa enorme, fondamentale. Oserei dire: cosa desidera Dio? Quale il senso della vita di Dio, il suo sogno nascosto? Gesù ce lo confessa con disarmante semplicità: Dio vuole la salvezza, la mia e quella di ogni uomo. Gesù ci parla di un Padre che ama talmente l'umanità da mandare il suo Figlio a salvarci, di un Dio che desidera profondamente mettere in opera tutto il possibile per farci passare dalle tenebre alla luce. Questo è chiaro e serio nel discorso di Gesù. Non dubitarne, amico, Dio ti ama fino a morirne, Dio ti è vicino fino ad abbracciarti e desidera più di te il tuo bene. Gesù è morto per svelarci questa verità, come dubitarne? La nostra vita consiste, allora, nello scoprire la strada, nel percorrere la luce che Dio ci indica, nell'accogliere il destino di bene che Dio prepara per ciascuno di noi. Ma – qualcuno obbietterà – se sembra tutto così ovvio, perché tanto dolore, perché tanta sofferenza? La Parola di Dio è disarmante, nella sua semplicità: se ignoriamo la luce, se pensiamo di sapere noi quale strada percorrere se, in una parola, ci sostituiamo elegantemente a Dio, la nostra felicità è decisamente a rischio... Tu mi vuoi salvo, Signore, cioè felice in pienezza. Anch'io lo desidero: dolce Signore, illumina il mio cammino, te ne prego! |