Omelia (13-05-2003) |
Paolo Curtaz |
Commento Giovanni 10,22-30 "No, nessuno mi rapirà dalla Sua mano". E' una preghiera, un'invocazione che spesse volte consiglio a chi viene a scaricare la sua angoscia e la sua fatica nelle mie povere mani di prete. Ci sono situazioni, molte, troppe, in cui non si sa più che fare: un matrimonio sbagliato, un figlio con cui non si dialoga, un cancro incurabile, una morte improvvisa. Troppe volte ci scontriamo, nella nostra vita, con la miseria delle situazioni e, smarriti, rischiamo di scivolare nel profondo baratro dello scoraggiamento e della disperazione. In quei momenti, come una notte del cuore, smarriamo la fiducia in Dio. Allora, proprio in quei momenti, abbiamo bisogno di sederci, con calma, e di riprendere in mano questa pagina piena di tenerezza. Credete, amici? Ci credete in questa Parola? Non è "ricordo" ma "vita" questa Parola? Allora udite: il Padre è più grande. Più grande dei tuoi sbagli, più grande dei tuoi limiti, più grande della tua malattia, più grande della tua solitudine, più grande, più grande. Come un Pastore, buono, straordinariamente buono, ci dice, ci garantisce, ci assicura che siamo nella sua mano e non andremo mai perduti, mai rapiti, mai lontano. Paolo, san Paolo, in un impeto di gioia, in un suo scritto, dirà: "Chi ci potrà mai separarci dall'amore di Cristo?" e via con un elenco di cose che gli sono successe da far rabbrividire. Abbiamo bisogno di sentircelo dire. Non come una frase di circostanza da parte di un amico che esercita la "paccoterapia" (tap tap sulla spalla... ) come meglio riesce. Ma come una Parola autorevole, autentica, vera, pronunciata da Cristo Risorto. Come se la liturgia ci dicesse: "Credi, ora che hai visto la sua resurrezione, alle sue parole?". Tu ci tieni in mano, Signore, con delicatezza, con affetto, con verità, tu ci tieni nel palmo della tua mano. Non ci abbandonare, Maestro, non permettere che ti abbandoniamo. |