Omelia (20-05-2003)
Paolo Curtaz
Commento Giovanni 14,27-31

Stiamo leggendo, in questa seconda parte del tempo pasquale, il lungo discorso che Gesù – secondo Giovanni – pronuncia dopo l'ultima Cena: parole che sono come la sintesi di tutta la predicazione del Maestro, rivolte in particolare ai discepoli, parole intime, profonde, cordiali, che manifestano l'amore del Signore per i propri discepoli. Il Signore oggi ci dona la sua pace, che è una pace diversa da quella che dona il mondo. L'abbiamo sperimentato e lo sperimentiamo in questo inizio di terzo millennio: il mondo si è svegliato impaurito e guerriero e tutte le conquiste che sembravano aver portato i buissimi anni del 20mo secolo sono dimenticate. Abbiamo visto i cortei pacifisti, abbiamo soprattutto sentito il grido forte e addolorato del vecchio Papa stanco di dover ammonire gli uomini. E' bello condividere, anche con i non-credenti, l'anelito alla pace e alla giustizia profonda, è un segno dei tempi anche quando viene male interpretato o manipolato; occorre comunque ribadire che la pace del cristiano parte da un incontro, da un dono del Risorto, non è atto spontaneo, né generosa concessione: la pace è condizione essenziale per potersi dire autenticamente discepoli; e questa pace si raggiunge anzitutto nel profondo, nell'intimo, nel cuore di ciascuno, cuore toccato e convertito dal sentirsi amato. Proprio perché amato e perdonato divento capace di amare e perdonare, di donare la mia vita, di vedere nell'altro un fratello e mai un nemico. Conserviamo la pace nelle piccole cose, diventiamo pacificatori, non solo pacifisti, perché le grandi guerre non sono che la somma delle nostre piccole guerre e dei nostri piccoli egoismi.

Dona la pace, Signore, a chi confida in te e rendici testimoni della tua pace!