Omelia (23-05-2003) |
Paolo Curtaz |
Commento Giovanni 15,12-17 Il comando del Signore, la sua dottrina, la sua legge, dunque, è tutta sintetizzata in questa frase semplice, da mandare a memoria: amatevi gli uni gli altri. Semplice, sconvolgente, inquietante, difficile, faticoso, splendido comando del Signore! Non è forse l'amore, l'amare, il desiderio più profondo e fecondo che abita il cuore di ciascuno di noi? Non è forse l'assenza e la fragilità dell'amore all'origine di ogni fatica, di ogni violenza, di ogni delusione? Dio non è regola, comando, rigidezza ma armonia, sorriso, creatività, amore. Amore però da declinare, da concretizzare perché – lo sappiamo – dietro alla parola "amore" può nascondersi ogni egoismo e dietro ogni presunta libertà in nome dell'amore la piccineria di un cuore indurito che non si assume responsabilità. Perciò Gesù aggiunge "nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici". Egli ci ha mostrato fino a che punto amare, fino a donare la propria vita, fino a rendere l'amore concretezza, scelta, dolore, amare fino a che non faccia male, diceva Madre Teresa di Calcutta. Di più: Gesù aggiunge, un poco oltre: da questo vi riconosceranno, se avrete amore gli uni per gli altri. In una comunità cristiana dev'essere l'amore a prevalere, non le mode, o le devozioni, ma sempre e solo l'amore e su questo – ahimé – dobbiamo ancora capirci e convertirci. L'amore che significa accogliere la diversità dell'altro, pazientare, operare quelle attenzioni che anche i fratelli non credenti apprezzano. La misura dell'amore è ciò che giudica le nostre comunità, che spiega la tiepidezza di tanti fratelli nei confronti della fede cristiana... Animo, allora, lasciamo fare al Signore! Tu comandi di amarci come tu ci hai amato: converti il nostro cuore al tuo, per diventare segno del tuo amore per l'umanità, dolce Signore! |