Omelia (12-06-2003) |
Paolo Curtaz |
Commento Matteo 5,20-26 Dev'essere un atteggiamento ancestrale, primitivo, del nostro cuore, quello di essere allergici ai precetti, agli ordini, ai comandi. Ah, se potessimo farne a meno! Siamo intimamente convinti che essere liberati dai precetti sia indispensabile per raggiungere pienamente la felicità. L'atteggiamento morale, di comportamento, che la fede propone, subisce lo stesso meccanismo: viene spesse volte guardato con diffidenza, come una cosa che - ahimé - dobbiamo fare, di cui tener conto. Solo che, a guardare meglio le cose, ci accorgiamo che non è proprio così la faccenda. Mi spiego: è innegabile che il nostro mondo si sia costruito una morale soggettiva, che ha in comune alcune grandi linee (anche derivanti dalla fede) condivise da tutti ma che poi, nel concreto, viene continuamente adattata alla situazione. Insomma: non mi pare proprio che il nostro tempo sia oppresso da rigide norme morali, ma che il principio: "purché vada bene a me", finisca col prevalere su tutto. Quindi, a guardare il bene, il nostro mondo è farcito di libertà. Ma c'è più felicità? Avete l'impressione, stando con le giovani generazioni, di una più profonda gioia, di una liberazione, di una comprensione della vita? Non è la mia esperienza. Credo che la differenza fra una morale "pesante", fatta di precetti impostimi dall'esterno, e il progetto del Vangelo, sia enorme. Perciò, nei prossimi giorni, leggeremo l'impegnativo discorso della montagna: là dove Gesù riporta – in maniera scandalosa per l'epoca – le parole date da Dio all'umanità, senza moralismi, ma con tenerezza e fermezza. Che la nostra vita di preghiera, il nostro culto, le nostre devozioni e la vita concreta siano sempre in sintonia, Signore che ci insegni la strada verso il bene autentico! |